ALICE TAMBURINI. Arte nel corpo

 ALICE TAMBURINI. Arte nel corpo

«Cara, scusami, fammi vedere qualche top carino dai…»

Qualcosa mi dice che la signora dal seno al vento stia parlando con me.

Mi volto titubante.

«Sabato pomeriggio ho un evento importante e mi serve qualcosa all’altezza della situazione. Ci sarà Sgarbi, sai? Vittorio Sgarbi, il critico. Questi pantaloni mi stanno benissimo, vero?»

capelli corti freschi di taglio, seno in vista, sguardo assente e sorriso che non capisco. “Vittorio Sgarbi, il maleducato…” penso.

«Questi pantaloni mi stanno troppo bene. Dammi un top che mi risalti, dai. A casa ho un bel corpetto nero con la scollatura così… cosa dici, con questi pantaloni va bene no? Cosa dici, è bello no? È un corpetto fatto così… è giusto no?»

Annuisco senza commentare.

«Io sono una pittrice. Si vede vero?»

«Faccio parte del gruppo di Sgarbi, conosci? Sabato viene a inaugurare la mia mostra Vittorio Sgarbi, conosci? E io sono l’artista, devo fare bella figura. I miei quadri sono tutti in stile anni ‘20. Sono i miei i quadri, e sono io la pittrice. Viene Sgarbi. Ecco, quel top mi piace cara!»

Incredula le passo quello che mi indica rispondendo a monosillabi.

«Lavori sabato pomeriggio? Se non lavori vieni alla mia mostra, porta le tue amiche».

La donnartista tagliofresco seno in mostra prende i pantaloni che le stanno benissimo e si sposta verso la cassa. Il mio mutismo è passato inesservato di fronte a tutti quei top di paillettes.

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Una donna cammina davanti a me. È alta, i capelli le coprono gran parte della schiena e si muovono a ritmo dei passi decisi. Ha un vestito lungo di maglia a righe colorate, dallo spacco escono gambe coperte di nero. Ha un giubbino in pelle e uno zaino di tela. Capelli vivi.

Mi trovo spesso a osservare chi cammina davanti a me. C’è stato un periodo in cui trovavo sempre la stessa persona, che per me era un ex pugile solitario. Film infiniti. Perdo di vista la donna alta dai capelli vivi e proseguo tranquilla verso via Gambalunga. Il portone della biblioteca è un bocca, io mi ci infilo dentro pronta a fare una chiacchierata con la pittrice Alice Tamburini.

Prima porta a destra. “Origini del visibile”, dice il cartellone della mostra.
Entro piano e mi avvicino all’unica persona che vedo nella stanza.

Alta, capelli fermi che coprono gran parte della schiena. Vestito lungo di maglia a righe colorate, gambe coperte di nero. Giubbino in pelle, zaino di tela appoggiato a terra.

Mi vede, allunga una mano verso di me «Ciao, io sono Alice. Sei Gloria?»

Alice Tamburini è una pittrice, lo è da quando è bambina. Sono stata investita dai suoi lavori meno di un anno fa, e dico “investita” perché è in questo modo che arrivano.

Diplomata all’istituto statale d’arte di Forlì e laureata all’accademia di belle arti di Bologna, all’età di cinque anni decide di portare i suoi disegni alla pittrice cesenate Maria Pasini Morigi per chiederle di poterli esporre insieme ai suoi. Il giorno dopo la pittrice le comunica che i suoi disegni sono stati i più apprezzati. In quel momento Alice decide di diventare una pittrice.

Nel 1990 espone per la prima volta a Forlì e nel frattempo trova quello che sarà il suo laboratorio per i successivi vent’anni; un vecchio e bellissimo essiccatoio di tabacco a Gambettola.
Dopo diversi premi vinti alla fine degli anni ‘90 e dopo aver fatto sorvolare l’oceano ai suoi lavori, la sua attività rallenta, tornerà a esporre nelle gallerie dopo alcuni anni e dopo tre figli.
Quella di Alice è una ricerca artistica viva, che non smette di crescere, che vive di esigenza. La sua è una pittura necessaria, per lei e per lo spettatore.
La prima cosa che noto è che i quadri di Alice urlano, lo fanno in modo sottile, con i colori, con gli sguardi: figure umane che scrutano. Mi fanno delle domande queste figure, vogliono parlare di qualcosa che hanno dentro e che gratta, che vuole uscire. O di qualcosa che ho dentro io e che gratta, che vuole uscire. Raschiano le pareti dello stomaco e disturbano. E va bene così, l’arte deve tirar fuori, come e cosa non importa.

Seduta sul marmo freddo, nella piccola sala vestita di occhi, faccio qualche domanda ad Alice.

Nella tuo biografia leggo che per dipingere inizi dagli occhi…

<<Gli occhi per me sono fondamentali. Parto sempre da loro per sviluppare tutto il resto, e sono loro a condizionare l’intero quadro. Sono occhi asimmetrici, molte volte sono di due colori diversi, e solitamente un occhio guarda lo spettatore mentre l’altro occhio guarda “oltre”: un riferimento al presente e al futuro>>.

Le solitudini che dipingi di chi sono?

<<Sono le mie ma sono anche quelle di tutti. Mi lascio ispirare dalla vita, registro le cose che vedo, che sento, che ascolto; piccoli particolari che arrivano e mi colpiscono. È shakerare gli elementi quotidiani. I miei quadri sono i miei diari di vita, mi piace esplorare quelle zone di solitudine in cui sei solo con te stesso, con le tue voci, con i tuoi segreti e con i tuoi lati oscuri>>.

La pittura per te è un’esigenza. Quando te ne sei accorta?

<<Come quasi ogni bambino mi piaceva fare, e un po’ alla volta, crescendo, ho capito che era proprio la pittura il mio modo per sopravvivere alle cose. A diciassette anni ho preso il mio primo studio e da quel momento lo studio è diventato tana, è diventato luogo segreto, giardino. Per me la pittura è un’esigenza quasi fisica, devo togliere e mettere su tela>>.

Com’è cambiato il tuo stile nel tempo?

<<I colori scuri e le figure umane ci sono sempre stati.
Ai tempi dell’Accademia i miei lavori erano più potenti e immediati, ero molto arrabbiata. Molto spesso le persone che mi conoscevano al di fuori della pittura venivano a vedere le mie mostre e rimanevano sconvolte da tutto quel nero, da quegli schiaffi alla vista, al cuore, ai sentimenti. Oggi mi sono molto alleggerita. Sono lavori potenti nei quali però preferisco togliere, spogliare, arrivare all’essenziale scegliendo comunque di percorrere la strada più buia>>.

Nella stanza a fianco una sindone è collegata con dei fili di ferro ai quadri esposti. Il corpo impresso sulla tela bianca è il suo. Alice dipinge anche i corpi, ma chiamare le sue performance body painting è riduttivo. Li trasforma nelle sue opere.

Performance che ipnotizzano. Nel 2018 Alice e sua figlia Anita sono partite da Lucca per arrivare a Barcellona, insieme hanno portato nelle piazze questa danza performance. Artiste di strada portatrici d’arte e di Bellezza.

Corpo-tela, quando lo hai incontrato?

<<È nato un po’ per caso grazie ad una carissima amica che un giorno mi ha chiesto di farla diventare una mia opera, un quadro. Dopo quell’esperimento mi hanno chiesto di fare una performance dello stesso tipo a Ferrara, e lì ho coinvolto mia figlia. Da quel momento anche questo tipo di ricerca artistica sul corpo, questo contatto, è diventata un’esigenza: un modo diverso per trasmettere pittura, danza e musica. Parlo di tre arti perchè in questo progetto collaboro con il ballerino Roberto Di Camillo e con il violoncellista Sebastiano Severi. Non più una performance, ma un rito arcaico emozionante per noi tanto quanto per gli spettatori che assistono al cambiamento di corpo che diventa pittura e della pittura che diventa vita>>.

Alice mi racconta anche di Girami, una performance in cui lo spettatore era libero di interpretare a proprio piacimento questo comando. Stesa a occhi chiusi sotto a una sua opera, Alice si è trovata mani dolci, mani brusche, mani leggere, mani più o meno attente che la spostavano, che la giravano, che la accarezzavano, la sistemavano. «Una drogra» mi confessa. Grazie a Rachele invece, l’altra sua figlia, mescola pittura e poesia. Una famiglia di donne performers.

Che consiglio daresti ai nuovi pittori, alle nuove pittrici?

<<Consiglio di seguire veramente la loro pancia, il loro cuore, e di avere pazienza. Di trovare un proprio modo, un proprio stile, un proprio linguaggio e di mantenerlo senza farsi abbagliare da finti luccichii. Consiglio di cercare di essere onesti, un artista lo deve essere con se stesso e con gli altri. E poi vorrei dire ai pittori alle prime armi di non stare chiusi in studio, di non isolarsi. Le collaborazioni, il confronto, sono bellissimi, la condivisione è bellissima>>!

Continuerei a farle domande per tutto il pomeriggio, ma sono qui da più di un’ora e un altro posto mi chiama.

Mi guardo attorno e registro…
In Origini del visibile, la mostra che fino al 2 giugno è stata ospite della biblioteca Gambalunga di Rimini, Alice ha collegato ogni quadro alla sua sindone attraverso fili di ferro arrugginiti: cordoni ombelicali annodati e increspati che rappresentano passato, presente, pensieri e memorie, e che insieme compongono l’artista.

Alice è una pittrice, ma non lo dice come la signora del camerino. All’inizio della nostra chiacchierata è entrato nella stanza uno strano personaggio, Massimiliano, che per una buona mezzora ha parlato da solo davanti a noi e davanti a uno dei quadri. Ha raccontato quello che vedeva, continuando a dire «Dai, te la cavi…» senza sapere nulla di Alice. Ci siamo chieste se fosse un teatrante e se quello fosse un esercizio d’improvvisazione. Alice lo ha ascoltato tutto il tempo, rispondendo alle domande che le poneva pur sapendo di non essere ascoltata. Come è arrivato, poi se n’è andato. Quando la pittura è davvero un’esigenza non ha bisogno di sbandieramenti. Quando l’arte è davvero arte, quando pesca da dentro, non esiste ostentazione. Sono felice nel non trovare solo arroganza e superbia in questo tipo di mondo.

Il consiglio che do io è quello di seguire Alice Tamburini, e di seguire la Bellezza sempre, qualsiasi tipo di Bellezza. Cerchiamola, la Bellezza, notiamola, prendiamocene cura, facciamone una droga: ci salverà.

Mail: alice.tamburini@gmai.com
Instagram: @alitambu
Facebook: Alice Tamburini

Gloria Perosin

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