ANTONIO TRENTANOVE. Scultore riminese

Antonio Trentanove: monumento in gesso al passaggio di Papa Pio VI a Rimini nel 1784 – Ph da wikimedia
Si era in pieno XVIII secolo quando a Rimini nasceva Antonio Trenta- nove (Rimini 1739/40 – Carrara 1812), uno dei grandi della scultura neoclassica italiana.
Iniziati gli studi nella sua Rimini, li pro- seguì e li completò presso l’Accademia Clementina di Bologna, definita Clementina dal pontefice Clemente XI che l’approvò grazie anche ai buoni uffici del conte Luigi Ferdinando Marsili (allora comandante dell’esercito pontificio) che appoggiò il progetto di Giampiero Zanotti, ideatore ed ideologo dell’Accademia.
Suo maestro fu Angelo Gabriello Piò (1), per tredici volte direttore di figura dal 1723 al 1758 e Principe dell’Accademia dal 1767.
Specializzatosi nella scultura figurativa realizzò numerose opere oltre che in tutte le maggiori città della Romagna, anche in Toscana, ad Urbino ed a Pesaro nelle Marche. Particolarmente degno di nota è il fatto che egli, assieme agli architetti Giuseppe Pistocchi e Giovanni Antonio Antolini ed al pittore Felice Giani, fu un protagonista del neoclassicismo faentino.

Attorno agli anni ‘70 del XVIII secolo a Rimini eseguì in terracotta il “Transito di San Girolamo”. Nel 1771 eseguì opere a Rimini, Lugo, Faenza e Forlì e nel 1784 fu ancora a Rimini per l’esecuzione del monumento al papa Pio VI.
A Faenza il Trentanove dimorò fino ai primi del 1800 per trasferirsi poi con la famiglia dapprima a Massa Marittima per qualche anno, poi a Carrara dove in- segnò all’Accademia di Belle Arti e dove cessò di vivere nel 1812.
A Rimini ha lasciato le seguenti opere:
– nella chiesa di San Giovanni Battista l’altare della Madonna del Carmine (1772) composto da quattro colonne tortili con a fianco due statue allegoriche delle virtù della Mansuetudine e della Purezza. Il tutto è sormontato da una cimasa recante statue di cherubini ed angeli, in stucco, con volti diversi uno dall’altro;
– nella chiesa dei Santi Bartolomeo e Marino (S. Rita) il monumento al Papa Pio VI (1784) su disegno di Pietro Santi e per volere dei canonici lateranensi riminesi, in occasione del passaggio del Papa a Rimini nel suo viaggio verso Vienna. Il monumento in stucco rappresenta il pontefice seduto tra la virtù cardinale della Fortezza e quella teologale della Fede rappresentate da due donne: la prima appoggiata ad una colonna spezzata e la seconda con un calice e la croce in mano. Vi sono anche un’aquila ed un leone, simboli della prontezza e del coraggio del Papa nell’affrontare il viaggio.
Sopra la testa di Pio VI vi sono due angeli reggenti le chiavi simbolo petrino della chiesa. Il modello del pontefice è stato preso dalla statua di Paolo V Borghese esistente in Piazza Cavour;
– nella chiesa di Santa Maria in Corte (dei Servi) si trova la più vasta opera ecclesiastica decorativa (dal 1774 al 1779) effettuata durante il rifacimento della chiesa assieme al capomastro Luigi Moretti detto mondino, voluto dall’abate Baldini e su progetto dell’architetto Stegani. Lo stile adottato è il barocco con imponenti sculture, colonne corinzie, panneggi e moltissimi angeli sulle pareti. Il pannarone in stucco dietro l’altare, contornato da angeli a tutto tondo, è stato nel tempo colorato e dorato nel XIX secolo, come gran parte delle decorazioni esistenti. Nella parete della controfacciata è stata posta la decorazione di maggior spicco della chiesa: una cantoria sorretta da sei telamoni (uomini che reggono qualcosa) in stucco.
Situati su alti basamenti, alcuni con la barba, altri senza, tutti sono nudi e coperti da panneggi che dai fianchi risalgono fin sopra la testa quasi a protezione del capo dal peso schiacciante della cantoria.
Queste sculture evidenziano e risaltano il momento di transizione tra il morbido plasticismo del barocco in contrapposizione all’eleganza del nascente stile neoclassico ispirantesi agli scultori greco-romani;
– nell’oratorio di S. Giovannino (Confraternita di S. Girolamo e SS. Trinità) vi è un “Transito di San Girolamo”, bellissimo bassorilievo in terracotta eseguito attorno agli anni ‘70 del XVIII secolo, donato dallo scultore alla confraternita per riconoscenza in quanto la stessa contribuì notevolmente al suo mantenimento agli studi artistici presso l’Accademia Clementina di Bologna.
Suo figlio Raimondo ha studiato scultura con Antonio Canova. La sua città natale gli ha dedicato una via.