Chiesa di San Giovanni Evangelista (Sant’ Agostino)

È la più antica chiesa di Rimini della quale si ha traccia già dal 1069. Era un piccolo oratorio che fungeva da parrocchia dedicato a San Giovanni Evangelista. Possedeva terreni, vigne e pascoli cui il vescovo Giacomo aggiunse una casa ed una torre. Nel 1256 fu affidata ai padri Eremitani Agostiniani dopo che furono unificati in un unico ordine da papa Alessandro IV (1), i quali la gestirono fino alle soppressioni napoleoniche del 1796. Con l’acquisizione, nella dedica fu aggiunto “e di S. Agostino”, nome con cui i riminesi immediatamente la chiamarono e con cui anche oggi è conosciuta.
Li agostiniani, eremiti brettinesi venuti a Rimini da una località a nord di Fano già antecedentemente il 1247 come dimostra una bolla pontificia di papa Innocenzo IV (2), provvidero ad ampliare l’oratorio situato ove oggi si trova la sacrestia, con l’intenzione di costruire un monastero. Ciò fu possibile grazie ad alcuni lasciti che permisero l’acquisto di alcune proprietà limitrofe.
La nuova chiesa fu probabilmente progettata in stile romanico, ma durante la costruzione assunse anche caratteri gotici evidenziati dall’assenza dell’intonaco, dal colore rosso dei mattoni e da alcuni “ripensamenti” esistenti sulla facciata e sul lato est dell’edificio. Il suo campanile alto 55 metri terminante con una cuspide piramidale era il più alto della città e per molto tempo ha avuto anche la funzione di faro per i marinai riminesi (allora il mare era più vicino al centro cittadino). Fu eretto su disegno di un architetto veneziano sulla cappella a destra della chiesa già affrescata dai primi decenni del ‘300. L’intera struttura divenne l’edificio più grande mai costruito da un ordine mendicante nella città e conseguentemente la più importante del periodo gotico del comprensorio riminese.
La chiesa subì diversi interventi a causa degli effetti del forte terremoto del 1308 al cui ripristino contribuì con un lascito Malatesta da Verucchio (il Mastin Vecchio). Nel 1346 Malatesta III Malatesta (il Guastafamiglia), obbligò il governo cittadino a concedere agli agostiniani la via Nova, necessaria all’ampliamento del monastero, ove già esisteva un collegio per novizi, uno studio ed una grande biblioteca che diverranno nel tempo secondi per importanza nella regione solo a quelli bolognesi. Seguirono altri rifacimenti tra il 1580 ed il 1585 per ciò che concerne gli affreschi ed il tetto, a seguito di un decreto vescovile che obbligò il rettore ad “imbiancare le immagini dei santi dipinti sulle pareti e guasti nel tempo”.
Notevole è l’importanza di questa chiesa. È sufficiente ricordare Giovanni da Rimini (3) (documentato dal 1292 al 1309), caposcuola riconosciuto del “trecento riminese” abitante nella contrada S. Giovanni Evangelista/S. Agostino, cui gli agostiniani affidarono per primi nel 1303 (con Giotto presente a Rimini) l’esecuzione degli affreschi per l’altare maggiore di una Maestà di Cristo, di una Madonna e tra il 1315 ed il 1318 la decorazione del coro e del timpano, eseguita con l’intervento dei fratelli di Giovanni (Giuliano e Zangolo). In seguito al terremoto del 1916, tali affreschi sono tornati alla luce. Recano, tra gli altri, scene della vita di Sant’ Agostino ed un “Giudizio Universale” che misura metri 17,60 per 6,00 datato all’anno 1315, entrambi attribuibili al Maestro dell’Arengo (a Giuliano da Rimini per la fondazione Federico Zeri *). Quest’ultima opera, restaurata e staccata dal sottotetto, in un primo momento collocato nella sala dell’Arengo, fu definitivamente sistemato nel museo della città.
Altre opere notevoli sono:
– un Crocifisso dipinto su tavola (ca. 1310) dal Maestro di S. Agostino che nella chiesa trecentesca era posto al centro di un tramezzo ad archiche divideva lo spazio riservato ai fedeli da quello riservato ai monaci;
– una “Presentazione di Gesù al Tempio” di Giovanni da Rimini (ca.1300) nella cappella del campanile;
– una “S. Tommaso da Villanova che distribuisce le elemosine”, pala del 1685 (o 1687, a seconda delle fonti) di Marcantonio Franceschini (Bologna, 5 Aprile 1648 – 24 Dicembre 1729);
– parte di una “Deposizione”, scultura lignea policroma del XIII sec. in passato trasformata in Crocifisso, proveniente dalla cattedrale di S. Colomba, riportata alle sue forme originali con il restauro del 2001.
Numerosi altri rifacimenti furono effettuati in più fasi nel seicento e settecento soprattutto nell’interno, modificando fattezze e decorazioni. A quest’ultimo secolo appartengono:
– la costruzione dei due portali in pietra sovrastati da un’aquila, simbolo dell’Evangelista Giovanni;
– il rifacimento del tetto e la costruzione del soffitto, opera quest’ultima eseguita tra il 1719 ed il 1722 dall’architetto, scenografo e trattista Ferdinando Maria Galli detto Ferdinando Galli da Bibbiena o Bibiena (Bologna, 19 Agosto 1657 – 3 Gennaio 1743) contenente pitture in tempera “a guazzo”, opere del 1722 di Vittorio Maria Bigari (Bologna, 1692 – 17 Giugno 1776) tra cui un S. Giovanni Evangelista in gloria”.
– Interessanti sono pure le otto statue in stucco, opere del 1755 dello scultore bolognese Carlo Sarti poste agli angoli della navata.
Molte furono le opere d’arte perse nel tempo. Tra di esse, ad esempio, quelle di Palma il Giovane, del Coda e del Laurentini.
All’esterno della chiesa un tempo si trovavano:
– di fianco all’abside, l’oratorio del 1527 dedicato a San Rocco, taumaturgo e protettore dalla peste (Montpellier, 1346/1350 – Voghera, notte tra il 15/1 Agosto 1376/1379);
– lungo la fiancata sinistra sull’attuale via Sigismondo, la cappella del 1580 dedicata a S. Monica – madre di S. Agostino – (Tagaste, 331 – Ostia, 27 Agosto 387) e quella del SS. Sacramento eretta nel 1585, demolite negli anni venti e trenta del secolo scorso.
Fra le sue mura, il 20 Gennaio 1498 si perpetrò la Congiura degli Adimari, fallito tentativo di uccidere Pandolfo IV Malatesti (4), ultimo signore di Rimini, assieme ai suoi famigliari durante lo svolgimento della messa vespertina.
Alla ribellione, dovuta al generale discredito in cui era caduto il Malatesti a seguito di comportamenti efferati che gli procurarono l’ostilità di Venezia, Urbino e non solo, parteciparono molte famiglie nobili tra cui appunto gli Adimari (Cattani, Clementini, Diotallevi, Agolanti, Marcheselli, Magnani, ecc.). La vendetta di Pandolfo IV costò la vita a tredici persone i cui corpi furono appesi ai merli del castello. Tra di essi Adimario Adimari, ritenuto il capo della congiura. La conseguente confisca dei beni e la distruzione delle proprietà delle famiglie dei congiurati, causò una nuova rivolta condotta dai nobili Galeotto Benzi ed Andrea Ricciarelli che furono impiccati prima di poterla terminare.
Dopo la soppressione napoleonica del 1796, la gestione della chiesa passò alla Confraternita del Suffragio per un breve lasso di tempo e fino al 1809 fu elevata al rango di Cattedrale.
Nel 1965 la chiesa è stata gravemente danneggiata da un incendio proveniente dalla vicina falegnameria che ha distrutto la cantoria e l’organo. I restauri iniziarono l’anno successivo e procedettero lentamente per la ricerca dei finanziamenti effettuata quasi “casa per casa”.
NOTE
(1) Alessandro IV al secolo Rinaldo dei signori di Jenne (Jenne, ca.1199 – Viterbo 25 Maggio 1261) di
Filippo, locale feudatario, e probabilmente di una sorella di Gregorio IX di cui non ci è giunto il nome.
(2) Innocenzo IV (Manarola, ca. 1195 – Napoli, 7 Dicembre1254) al secolo Sinibaldo Fieschi dei conti di Lavagna (secondo il Dizionario biografico degli italiani – vol. 62 – 2004: Manarola non oltre il 1190), di Ugo e di Beatrice Grillo (di Amico).
(3) Giovanni da Rimini (Rimini, XIII secolo – Rimini XIV secolo). Ci è sconosciuta la sua data di nascita, documentato dal 22 Marzo 1292 al primo trentennio del XIV secolo. Morì probabilmente prima del 1338 (O. Delucca “I pittori riminesi del trecento nelle carte d’archivio” Rimini, 1992, pagg. 22, 45-52, 74-86, 88, 133-137). Fu uno dei fondatori della Scuola Riminese che subì l’influenza di Giotto, come dimostra il “Crocifisso” del 1309 dipinto da Giovanni per la chiesa di S: Francesco di Mercatello sul Metauro. Il Vasari lo ha citato tra i migliori seguaci di Giotto in assoluto, insieme ad Ottaviano da Faenza e Guglielmo da Forlì nel suo “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori”.
(4) Pandolfo IV Malatesti – soprannominato Pandolfaccio – (Rimini, 5 Luglio 1475 – Roma, Giugno 1534, oppure: Roma, inverno 1538-1539, secondo “Treccani, dizionario biografico degli italiani-vol. 68 – 2007). Nipote e figlio rispettivamente di Sigismondo Pandolfo e di Roberto il Magnifico. La madre era Isabetta Aldobrandini.