CHIESA E CONVENTO DELLA SANTA CROCE DEI MINORI FRANCESCANI, Villa Verucchio

Non si può introdurre questo argomento senza fare un sia pur breve accenno al tragitto che seguì San Francesco lungo la Valmarecchia. Non è dato sapere con assoluta certezza nè quando si fermò per la prima volta alla “Villae Crucis”, nè se il Santo provenisse da Rimini o se invece vi fosse diretto dopo essere sceso da San Leo dopo ave- re ricevuto in dono dal conte Orlando Cattani il giorno 8 Maggio 1213 il monte de La Verna. La data più accreditata è quindi il Maggio 1213, e certamente vi ritornò, nel 1215 e nel 1224 prima di fare ritorno a La Verna dove il 14 Settembre ricevette sacre le stigmate.
Quando il Santo giunse a Villa Verucchio ove soggiornò per un breve periodo di tempo con frate Leone ed altri suoi compagni, vi trovò una cappella con all’interno una croce di legno ed accanto ad essa un romitorio trasformato nell’attuale convento quando S. Francesco era ancora in vita ad opera della famiglia verucchiese Gueruli. Il terreno fu invece un dono dalla famiglia Ferrini. La chiesa fu edificata poco tempo dopo. Una fitta boscaglia avvolgeva l’intera collina che dolcemente scendeva a valle verso il fiume Marecchia. Questo convento, citato nel testamento di Malatesta da Verucchio (il Mastin Vecchio dantesco) datato 1311, negli atti ufficiali del Definitorio della provincia francescana di Bologna, risulta esserne il più antico. Fu fra’ Francesco Giovanni Malazappi da Carpi nella sua “Cronaca” del 1581a lasciarci le più approfondite notizie anche sugli eventi succedutisi durante la presenza del Santo di Assisi. Ci racconta che vi sono tre alberi collegati a S. Francesco: un cipresso, un alloro ed un ulivo. Altri due episodi sono giunti fino ai giorni nostri. Nel primo il Santo, raccolto in preghiera, ordinò agli uccelli di interrompere il loro canto al fine di permettergli di porre maggiore attenzione alle sue orazioni e meditazioni. Nel secondo si narra che, davanti alla croce, invocò al Cristo la forza per il sostentamento della sua attività apostolica, ricevendone in tal senso l’assicurazione. Inoltre, secondo la tradizione, il Santo fece scaturire poco distante dal convento una fonte di acque rivelatesi curative (salso-iodo-bromate) oggi sfruttate in uno stabilimento termale.
LA CHIESA
Per via Mondaini, una stradina in che sale al colle dal centro di Villa Verucchio, si giunge al piazzale del convento. La prima cosa che si percepisce è l’intensa aura di elevata spiritualità che pervade il luogo, che avvolge e penetra il visitatore. Ad accoglierlo, in tutta la sua sobria ed austera bellezza tipica francescana, è la chiesa con il suo bel portale in stile gotico la cui lunetta ospitava una rappresentazione pittorica del XVII secolo del Santo che riceve le stigmate. Era opera del pittore Giovanni Francesco Guerrieri (1). Oggi al suo posto vi è una pittura ad identico soggetto effettuata dopo il Maggio 1988 da un padre francescano del convento per preservare l’antico dipinto dagli agenti atmosferici che l’avevano logorata. Sopra il portale, si nota l’assenza del rosone, murato al momento dell’installazione dell’organo. Fino al 1940 la facciata presentava anche un piccolo portico edificato nel 1493.
La costruzione della chiesa che oggi si ammira risale al XIV secolo e fu consacrata il 16 Giugno del 1400 dal vescovo francescano Nicolò Cesi da Montecorvino, come precisato a pagina 15 in “Chiesa e convento francescano di Villa Verucchio”di P. Francesco Marchesi, editore Pier Giorgio Pazzini. Nel campanile alto trenta metri e costruito nel 1662, oggi si trovano quattro campane fuse dalla ditta Bianchi di Varese e benedette il 27 Ottobre 1949 dall’allora vescovo di Rimini Mons. Luigi Santa. Le tre campane esistenti all’origine sottratte dai francesi durante le soppressioni napoleoniche (in questo periodo, oltre a quello relativo alla soppressione del regno d’Italia del 1866, i padri furono costretti ad abbandonare il convento), vennero rimpiazzate dalla ditta Angelo Balestra di Longiano, fonditore anche di quelle del duomo di Urbino. Stessa sorte capitò ad altre due campane, sottratte dallo stato italiano durante la seconda guerra mondiale.
STRUTTURA ED ARTE
Come tutte le chiese francescane, l’interno possedeva in origine caratteri molto dissimili da quelli attuali. Aveva un’unica navata che ospitava grandissimi cassettoni decorati. Il soffitto era formato da travi e sosteneva una bellissima volta lignea arricchita da scomparti ad intaglio colorati d’azzurro. L’abside aveva un arco a sesto acuto.
I lavori di rifacimento commissionati da padre Angelico Cenni di Villa Verucchio all’architetto Antonio Tondini di Verucchio, iniziarono nel 1842 con l’abside, proseguirono l’anno successivo con il presbiterio (che nel 1972 ha subito nuovamente opere di restauro) e terminarono nel 1858 con il completamento del soffitto della navata centrale.
Alla sinistra di chi entra è situato il notevole affresco della “Crocefissione” di scuola giottesca-riminese dipinto tra il XIII-XIV secolo. Oltre al Cristo ed agli angeli (uno dei quali raccoglie il sangue che sgorga dal costato del Redentore), in basso a sinistra sono raffigurate Maria Maddalena e Maria di Cleofa che sorreggono la Vergine Maria sofferente per il dolore e, loro accanto, l’apostolo San Giovanni. A destra della croce con il capo circondato dall’aureola, è ritratto Longino – santo per la chiesa cattolica e martire per quella ortodossa -, il centurione romano che trafisse il costato di Gesù con la propria lancia. A destra, sempre in basso, si nota la figura maschile di colui che potrebbe essere il committente dell’opera, forse uno dei Malatesti, tanto munifici verso i francescani, il cui ramo di Sogliano scelse per secoli la chiesa come luogo sepolcrale di famiglia. Al 1959 risale la data del restauro di questo affresco eseguito dal pittore forlivese Mario Pesarini.
Sempre l’anno 1972 ha donato alla chiesa, restituendolo, un affresco datato 1520 e rastaurato nel 1986 riproducente San Giuseppe – padre putativo di Gesù – e l’evangelista San Luca. È situato subito dopo la “crocefissione” in un arco ricavato nella parete che conteneva, in una nicchia più piccola posta al suo interno tra i due santi, un’immagine della Madonna delle Grazie, ora traslata e venerata nella cappella espressamente a Lei dedicata. Al suo posto oggi si trova un’effige di Santa Chiara.
Nell’ abside si può ammitare un bellissimo crocifisso, opera su ta- vola risalente probabilmente alla fine del XIII secolo. Sempre nell’abside, dietro all’altare maggiore si ammira un coro ligneo intarsiato con motivi geometrici, pregevole opera di un anonimo frate del XV secolo, i cui due stalli centrali contenengono simboli attinenti alla liturgia (quello di sinistra) e l’altro l’immagine del dono delle stigmate. Interessante è pure la Via Crucis le cui quattordici stazioni dipinte su tela costituiscono un’opera del XVII secolo.
Uno degli stemmi francescani presenti all’interno della chiesa (la Croce con il braccio di Gesù Cristo e quello di San Francesco incrociati) si trova sulla lapide del sepolcro situato al centro della chiesa nello spazio riservato al camminamento dei fedeli: reca la data “1765” L’altro in legno policromo è ubicato al centro della balaustra della cantoria sulla quale è stato posto l’organo costruito dalla ditta Inzoli di Crema. Fu inaugurato il 24 Ottobre del 1880 e restaurato negli anni ‘60 del XX secolo dalla ditta “La Frescobalda” di Varsi (PR).
Le cappelle laterali (quella di San Sebastiano risale al 1518) furono iniziate a costruire verso la fine del 1700. Per potervi ottemperare si dovette abbattere la parete di destra e creare una navata laterale in cui sono state ricavate due cappelle in una delle quali – quella del SS. Sacramento affrescata da Giuseppe Busuoli – si venera la statua in cartapesta della Madonna delle Grazie. In origine, in quest’opera di elevata fattura, rappresentava la Madre di Gesù col Bambino che conficcava una lancia nella testa del serpente immobilizzato dal piede di Maria. Oggi il piede della Madonna è poggiato su una falce di luna.
IL CHIOSTRO
Inesistente nei siti francescani fu ter- minato di costruire, lato dopo lato, prima del 1581. Fino al XVIII secolo era diviso da una parete poi demolita. Appena si accede all chiostro, lo sguardo è subito attirato dal famosissimo cipresso, considerato tra i venti alberi più vecchi d’Italia.
La tradizione, certificata da fonti antiche e la cui età confermata dai biologi, ci narra che fu personalmente San Francesco a piantare un bastone di cipresso (altri citano invece il suo bastone) il quale mise radici e foglie dando origine a quella imponente e maestosa presenza oggi visibile.
Nel 1980 la circonferenza a terra del tronco era di m. 5,15 mentre ai primi rami ne misurava 7,37. L’altezza complessiva, prima della caduta della cima avvenuta il 6 Dicembre dello stesso anno, era di trentadue metri.
I francesi lo incendiarono nel 1798 e cercarono di abbatterlo per due volte. Si racconta pure che nel 1810 un messo sconosciuto fece sospendere l’ordine di abbattimento a Giovanni Pascoli, avo del poeta sammaurese ed amministratore del cav. Guiccioli proprietario del convento.
Sotto il porticato vi è un corridoio che conduce al vero e più grande “tesoro” del luogo: la Cappella di San Francesco, costruita sul luogo dove sorgeva la cella fatta di rami d’albero e d’argilla in cui il Santo dimorava. Il raccolto ambiente è completamente affrescato. La cella, edificata in stile gotico e divisa dalla cappella da un arco ogivale, contiene un altare su cui domina una statua del patrono d’Italia. Questo luogo è unanimemente considerato e confermato sin dai documenti più antichi il più sacro del convento. Entrandoci si ha l’impressione di essere in un posto “fuori dal tempo” ed avvolti da un grande senso di pace che tutto lì pervade .
Alle pareti del sopra citato corridoio, vi sono due bellissimi affreschi di Giovan Francesco Guerrieri: uno rappresentante un angelo che suona la viola mentre Francesco è in meditazione; nell’altro un altro angelo porge al Santo un unguento lenitore per le sue ferite interiori.
I soldati napoleonici abbatterono l’originaria cappella che fu ricostruita una prima volta nel 1829, poi cento anni più tardi, nel 1929, su disegno dell’architetto Costantino Jacchia.
Note
(1) Giovanni Francesco Guerrieri (Fos- sombrone, 1589 – Pesaro, 3 Settembre 1657), di Ludovico e Vittoria Draghi. Fu figura di spicco della pittura marchigiana del XVII secolo. Come si legge sul diziona- rio biografico degli italiani Treccani – vol. 60, 2003 -, la sua pittura subì l’influenza del Caravaggio che “si suppone ebbe un ruolo importante nella introduzione del Guerrieri nell’ambiente artistico romano”).