Ivan Polverini, da allievo a maestro: una vita dedicata alla nobile arte

 Ivan Polverini, da allievo a maestro: una vita dedicata alla nobile arte

Insegnare significa trasferire idee e abilità da una persona all’altra, ma anche compartecipare attivamente alla maturazione personale dell’allievo, fornendo i mezzi e gli stimoli necessari alla totale realizzazione della propria e unica personalità. La figura dell’insegnante è centrale nella crescita di ciascuno, tanto lodata e ben ricordata quando assolve alla perfezione i propri compiti e al contrario criticata e colpevolizzata quando non riesce a stabilire una relazione fruttuosa con il proprio allievo.

E allo stesso modo, così come si impara ad imparare, seguendo la propria forma mentis, si impara ad insegnare: per alcuni un dono innato, per altri un’abilità da affinare con tempo ed esperienza. Per Ivan Polverini, pugile ed istruttore di Kick Boxing e pugilato, è stata una scoperta inaspettata, un futuro non programmato ma presto riconosciuto. “L’insegnamento non era preventivato, non ci pensavo. Tutto è nato per caso. Ho dovuto lasciare il ring per un infortunio molto grosso che mi ha impedito di partecipare al mondiale. Lo sport da combattimento professionistico vuole che un atleta sia perfetto, completamente sano, e così non potendo più continuare ad alti livelli avevo lasciato un po’ tutto. Certo, continuavo ad allenarmi ma non avevo mai pensato di insegnare.” – ci spiega Ivan – “Un giorno mi è stato proposto di aprire un corso, i miei risultati erano ben conosciuti e tutta la mia squadra era eccellente. Negli anni 90 il pugilato era davvero molto popolare, soprattutto qui a Rimini. Ho pensato e ripensato alla proposta poi ho detto sì.”

Dal quel si, l’inizio di una nuova carriera: “Il primo gruppo era formato da una decina di allievi, adesso sono arrivato ad averne cinquanta. Iniziando ad insegnare, i dubbi e i timori erano tanti, però già dalle prime lezioni capivo che il mio modo di comunicare era recepito bene, i ragazzi imparavano e io con loro: così come a quattordici anni ho imparato a combattere, adesso la sfida era imparare ad insegnare. E non si smette mai! Non è scontato che un bravo atleta diventi un bravo maestro, bisogna mettersi in gioco e capire che cosa veramente sia necessario trasmettere. Io all’inizio sbagliavo” – ci confida il pugile – “perché cercavo di insegnare il mio modo di combattere: il mio stile portava vittorie e titoli, mi sembrava una scelta facile e ideale cercare di portarlo avanti. La cosa più sbagliata in assoluto!”

La sfida più grande diventa riuscire a tirare fuori il meglio da ogni atleta, cercare di trovare lo stile personale di ciascuno, adatto alle proprie caratteristiche fisiche e alla propria personalità. “Guardando altri maestri ho capito che bisogna osservare e comunicare il sistema più adeguato alla persona stessa. Non siamo tutti uguali: mancini, destrorsi, veloci, lenti. Chi è principiante assoluto, chi ha un passato in altri sport. Il primo passo è acquisire la forma mentis, l’equilibrio di questa disciplina perfetta e meravigliosa.”

E tra i tanti allievi allenati da Ivan durante la sua carriera, anche un ragazzino di dodici anni, con un passato da calciatore, che dopo qualche tempo diventerà “The Italian Warrior”Luca Bergers, il protagonista del docu-film firmato da Joseph Nenci. “Luca Bergers era mio allievo, l’ho conosciuto che aveva dodici anni, mi ha sempre seguito, era un ex calciatore, ha lasciato il calcio per seguire le mie orme. Poi è cresciuto anche lui, due anni fa l’ho incontrato e mi fatto conoscere la BKB, BareKnuckle Boxe, combattimento senza guantoni. Ora è un maestro anche lui.”.

Il primo impatto di Ivan con la disciplina praticata da Bergers è stato quasi scioccante: “È una disciplina cruda, non saprei come altro definirla. Ero allibito. Non credevo esistesse ancora una disciplina così! Ci vuole stomaco per guardare un incontro in TV, ma da sotto il ring è tutta un’altra cosa. In Inghilterra questa disciplina riempie i palazzetti, il pubblico impazzisce, è un delirio. E gli atleti sono gladiatoriSangue e arena, salgono sul ring sani, non sanno in che condizioni scenderanno. Ci vuole fegato, non solo per il combattimento, ma per tutto il contesto. È una vera e propria esibizione, uno spettacolo. La folla scalpita, ci vuole un coraggio infinito per salire sul ring e giocare il tutto e per tutto.”

Tra le tante cose inaspettate, la richiesta di recitare nel docu-film sulla storia di Luca : “Mai avrei pensato potesse succedermi! Non ho mai avuto problemi a parlare, però davanti ad una telecamera era un mondo sconosciuto e la prima mattina ero davvero in ansia! Poi mi sono trovato subito a mio agio, ero in un ambiente familiare, con amici, e ho quasi improvvisato un monologo! E mi è piaciuto tantissimo! Un’esperienza veramente bella.”

Ivan ci racconta che partecipando alle riprese, si è posto il quesito di come questa disciplina potesse essere percepita da un pubblico più ampio rispetto alla nicchia di appassionati: “Il primo commento di chi vede un incontro di BkB per la prima volta è sempre lo stesso: “Ma questi sono pazzi!” Le gare di boxe qui in Italia sono diverse, nella tutela dell’atleta rientrano tutte una serie di misure che trasmettono la violenza ma nel contesto corretto, nel proprio framework, dove è possibile capirla e comprenderla. Il messaggio della BKB è diverso, non è uno sport per tutti e non è vero che non ci si fa male. Abbiamo cercato di essere più onesti possibile senza eccedere, ma senza nascondere il vero e reale effetto di una mano nuda su un viso senza casco.”

Lo sport è crudo, aggressivo: “È un bel colpo vederlo. Però la cosa fondamentale è capire la scelta personale che c’è dietro, al combattimento con i guantoni così come a quello senza. Io per primo non credevo esistessero ancora discipline così dure ed è stata un’occasione per pormi delle domande, la prima delle quali se io stesso avessi il coraggio di andare sul ring a mani nude. Se io ho portato a casa dei danni fisici ma protetto da casco e guantoni, non oso immaginare cosa succede a chi combatte senza! Non è per tutti, la BKB. Chi ci arriva è alla fine di un percorso preciso, un bagaglio di esperienza notevole. Non si può improvvisare, serve preparazione e soprattutto bisogna essere adatti.” Ancora una volta si tratta di capire la disciplina che meglio sposa le specificità di ognuno, atleta e non. Un grande insegnamento, pietra miliare dello stile e della missione di Ivan, che trova nel docu-film “The Italian Warrior” un’ulteriore occasione per essere ribadito.

Laura Saracino

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