DESTINAZIONE ULAN BATOR: STRADA, RITRATTI E LIBERTÀ. Il racconto del riminese Matteo Nanni che ha raggiunto la Mongolia in moto

Da Marco Polo a Colombo, da Vespucci a Magellano, da Henry Shackleton ad Amelia Earhart: la storia ci ha fatto conoscere spesso persone diventate famose per aver esplorato con coraggio e spirito d’avventura il mondo. Chi per conoscenza, chi per necessità, fino ad arrivare a coloro che si sono imbarcati in viaggi ai confini della fattibilità per soddisfare il proprio ego o quell’istinto viscerale che è la passione; da sempre il fascino dell’ignoto, dell’orizzonte e della scoperta fanno parte del codice genetico di alcuni. Sono cambiati i tempi e le motivazio- ni, sono cambiati i mezzi e le destinazioni. Nonostante internet possa portarci in qualunque incrocio del mondo in un lampo, c’è ancora chi ambisce a raggiungere una meta con i propri mezzi, per sentirsi appagato, per sentirsi libero. Questa è una storia di esplorazione e avventura; il protagonista si chiama Matteo Nanni.
L’ESPLORATORE
Matteo Nanni, 33 anni, è nato e cresciuto a Rimini. La voglia di viaggiare si manifesta fin dall’adolescenza, ma la prima vera esplorazione la compie nel 2004, quando visita India e Nepal. Dopo quel viaggio, l’anima dell’esploratore prende il sopravvento e Matteo spende ogni risorsa per nuovi viaggi per il mondo. La necessità di ottimizzare il tempo a disposizione e il desiderio di entrare in contatto con le culture locali lo spingono a viaggiare solo. Nel 2006 decide di iniziare a documentare le sue avventure; l’approccio alla fotografia avviene con una vecchia fotocamera reflex analogica, poi sostituita da una digitale dopo due anni. Dal 2011 inizia a viaggiare con la sua fedele motocicletta Honda Transalp, che ad oggi conta 110.000 km di strade percorse e che lo ha accompagnato anche nell’itinerario dell’ultima avventura.
L’ITINERARIO
Il 22 luglio 2017, Matteo parte da Rimini. La meta è Ulan Bator, la capitale della Mongolia, raggiunta il 12 agosto dopo un viaggio di 22 giorni. La strada che separa le due città è lunga circa 9.500 km. Matteo ha attraversato l’Europa in 3 giorni, passando per Austria, Repubblica Ceca, Polonia, Lituania e Lettonia. Poi la Russia in 11 giorni, toccando città come Kazan, Yekaterinburg, Tyumen, Omsk e Novosibirsk. Infine ha attraversato la Mongolia nel tempo restante. Fra deviazioni volute e accidentali, Matteo ha percorso in sella oltre 10.000 km.
LA RUSSIA
L’ingresso nel Paese più vasto del mondo non è una passeggiata, superare la frontiera richiede parecchio tempo. In compenso, come racconta Matteo, l’accoglienza dei russi è tutt’altro che fredda. «I controlli al confine russo sono abbastanza rigidi, la polizia militare verifica i documenti, i tempi di soggiorno e anche il tragitto. Ho impiegato quasi 3 ore per entrare in Russia. I militari sono stati molto gentili, abbiamo anche scherzato un po’. Non sono freddi e distaccati come può sembrare all’inizio e come pensiamo noi. Il paesaggio una volta varcato il confine cambia radicalmente. Le insegne in cirillico, i primi chioschi e distributori, gli spazi verdi immensi, le strade dritte e lunghissime: si percepisce subito l’impronta più ‘sovietica’ del paese, un po’ quella che vediamo nei libri e nei film».
Le prime due notti in Russia Matteo le passa in un albergo a Velikie Luki, vicino a Mosca, e in un motel sulla strada il giorno dopo. Le stanze di queste strutture non sono molto vecchie, ma “sembrano avere migliaia di anni”. La prima vera tappa del viaggio di Matteo è Kazan, dove si ferma un giorno intero. «Kazan si trova nella Repubblica del Tatarstan, a 800 chilometri da Mosca. Qui i tratti somatici delle persone cambiano, poiché gli abitanti discendono direttamente dalla cultura tatara. Ho visto il Cremlino e visitato la stupenda moschea e l’imponente chiesa ortodossa, dove ho scattato i primi ritratti. Kazan è una città strana. D’estate fa buio verso le 20, un orario normale; però, per via dell’allungarsi delle giornate e del fuso orario, lo stesso di Mosca nonostante la distanza, l’alba è verso le 3.30 del mattino. Un fatto davvero insolito».
Dopo Kazan, Matteo prosegue verso i monti Urali, procedendo lentamente su strade dissestate e trafficate. Quella degli Urali è una delle catene montuose più antiche del mondo e per questo i rilievi non sono molto alti; gli agenti atmosferici li hanno levigati nel corso dei millenni. Pervourlask è l’ultimo paese attraversato da Matteo prima di uscire dall’Europa ed entrare in Asia. Una sosta di fronte al monumento che simboleggia il confine continentale e poi via, verso Yekaterinburg, per poi proseguire sul territorio siberiano, percorrendo i 1.600 km che lo separano da Novosibirsk. «Entrato in siberia la strada è diventata la M51, la Transiberiana. Ho beccato molta pioggia fino a Tyumen, poi ho proseguito tranquillamente fino a Omsk. Qui è iniziato un tratto stupendo della transiberiana: più di 500 chilometri di rettilineo, senza svolte, senza
città, solo stazioni di servizio. Fa sorridere, perché il navigatore ti dice: ‘prosegui dritto per 500 chilometri’. Il traffico diminuisce, intorno solo pianure vastissime e molti acquitrini; con una giornata di sole come quella che ho trovato, percorrere la M51 è stupendo. In un certo senso ritrovi te stesso. Oppure, come nel mio caso, trovi una gentilissima famiglia che si ferma per parlarti, incuriosita. Erano marito, moglie e una bambina. Parlavano bene inglese, abbiamo iniziato a conversare. Mi hanno chiesto del viaggio e mi hanno invitato a cena nella casa di campagna dei genitori della donna, una bellissima abitazione sulle rive del fiume Ob’. Ho deviato dal percorso di 150 chilometri per seguirli, per le distanze che ci sono lì è come dire Rimini-Santarcangelo da noi. Abbiamo cenato e parlato molto delle differenze fra le nostre culture. Una famiglia fantastica che mi rimarrà nel cuore, incarnano lo spirito accogliente dei russi. Dopo aver dormito da loro, il mattino seguente mi sono rimesso in viaggio. Grazie Lev e Yana.»
Matteo raggiunge Novosibirsk, nota come la capitale della Siberia. Una città vivace e giovane, nata appena 120 anni fa. La gomma posteriore della moto è totalmente usurata e va sostituita con quella di scorta che Matteo ha portato con sé dall’Italia. Si reca allora in officina. «Quando ho chiesto al meccanico di poter cambiare la ruota posteriore, lui mi ha risposto di non avere pneumatici per moto. Quando gli ho detto di averne uno di scorta con me e che avevo solo bisogno di cambiarlo, lui mi ha risposto: ‘non cambiamo pneumatici alle moto’. Stavo per andarmene, ma poi ha aggiunto: ‘se vuoi proviamo insieme’. È stato davvero gentile. Prima di metterci al lavoro, mi ha invitato a entrare nell’ufficio per una tazza di tè e una fetta di dolce. Alla fine sono uscito con lo stomaco pieno, la ruota cambiata, cinque euro in meno e un sorrisone».
Il confine con la Mongolia si avvicina. Matteo raggiunge la catena montuosa degli Altai e il paesaggio cambia ancora una volta, diventando più verde, selvaggio e collinoso. Matteo si unisce a un motoraduno di cui, essendo il motociclista più lontano da casa, diventa subito la star. Lungo la strada incontra diversi abitanti: il dialogo con questi è ostacolato dalla loro scarsa conoscenza dell’inglese, condizione che li rende timidi e restii ad esporsi a parole. Ma di fronte alla fotocamera di Matteo, si aprono piuttosto facilmente.
«I russi si fanno fotografare tranquillamente, anzi, molti mi hanno chiesto di fotografarli. A differenza di altri paesi dove c’è grande diffidenza, qui è stato tutto molto naturale. Di solito cerco di fare qualche ritratto ‘rubato’, per non perdere la spontaneità dei volti, ma in questo caso non ce n’è stato bisogno».
LA MONGOLIA
Dopo quasi 2 settimane dalla sua partenza, Matteo entra in Mongolia. Il passaggio di frontiera è lento anche in questo caso: 3 ore per uscire dalla Russia, 5 per entrare in Mongolia. Stanco e desideroso di riposarsi e fare il punto della situazione, Matteo affronta le prime difficoltà di un territorio quasi deserto. «La strada in Mongolia è difficile da percorrere e mi ha rallentato molto. A tratti asfaltati si alternano tratti sterrati e chilometri di tolé ondulée davvero fastidiosi. Un’unica strada mi ha portato a Olgii, la prima piccola città del Paese, dove un ragazzo contattato tramite social network mi ha aiutato ad ambientarmi e a prepararmi per il nulla desertico che avrei incontrato per raggiungere Ulan Bator. Raccolti cibo, benzina e una scheda telefonica mongola, sono ripartito dopo aver passato la seconda notte a Olgii in una Gher, le tende dei nomadi, attrezzata come una vera stanza d’albergo, calda d’inverno e fresca d’estate».
Il viaggio di Matteo prosegue su piste di breccia che si sostituiscono all’asfalto. La steppa mongola è desolata, ci sono animali liberi, montagne in lontananza in tutte le direzioni e silenzio, spezzato solo dal motore della moto, dal rumore dei pensieri e dal vento. Matteo percor- re questa strada fino al tramonto, poi si accampa con la tenda. Arrivano a fargli visita due ragazzini che abitano in una Gher piantata poco lontano: sono le uni- che due anime incontrate per quel giorno.
Matteo si ferma il giorno successivo a Khovd, dove fa una conoscenza che gli tornerà molto utile. «A Khovd ho incontrato un insegnante di inglese mongolo. Mi ha lasciato il numero e mi ha chiesto di chiamarlo se avessi avuto bisogno. Il giorno stesso ho sbagliato strada, procedendo verso sud per 150 km: stavo per entrare in Cina quando me ne sono accorto. Il buio stava arrivando, la benzina stava finendo. Ho chiamato l’insegnante che mi ha indicato una piccola cittadina vicino a me dove poter passare la notte. Ho ringraziato con tutto il cuore lui e la famiglia che mi ha ospitato come un figlio nel suo modesto albergo».
Ulan Bator è sempre più vicina. La strada cambia ancora, passando da un manto sabbioso a un ultimo tratto di terra erbosa molto più semplice da percorrere. Matteo si ferma a Karakorum, dove visita il pacifico sito buddista di Erdene Zuu con diversi templi, dal quale rimane profondamente colpito, ma allo stesso tempo deluso dalla eccessiva presenza di turisti locali e stranieri. Sulla strada si ferma per ammirare gli Ovoo, strutture realizzate dai passanti con i sassi come segno di buon auspicio per i viaggiatori. Per tradizione, chi si ferma deve girare tre volte attorno all’Ovoo e lasciare un sasso e qualcosa di proprio in dono. L’avventura sta per finire. Matteo, emozionato e un po’ triste, avvista Ulan Bator. «La capitale è una città molto grande, moderna e in forte sviluppo. C’è traffico, smog e le persone iniziano a considerarti e sorriderti di meno. Ho passato qui due giorni, uno per preparare il ritorno in Italia della moto, l’altro per macinare ancora 50 km a est e raggiungere la statua equestre più alta del mondo, quella di Gengis Khan. Poi ho visitato la città e mi sono intrattenuto con altri viaggiatori della guesthouse dove ho pernottato. Trovo che tutte le persone incontrate nel mio viaggio abbiano volti stupendi e luminosi. Il giorno dopo, con 19 ore di viaggio, sarei tornato in Italia, portandomi dietro un pezzo di Mongolia e lasciando lì un pezzo di me».
TRE MESI DOPO
Oggi Matteo sta ancora elaborando le foto e i ricordi. Dalla fantastica avventura in Mongolia – di cui questo brano, purtroppo, riassume con poche parole solo alcuni degli eventi salienti – Matteo ha tratto le sue conclusioni. «Questo è stato un viaggio impegnativo e decisamente stancante dal punto fisico e mentale. La meta era lontana, il tempo a disposizione non era tanto ed era il primo viaggio intercontinentale che facevo da solo in moto. Alla fine però, il viaggio mi ha dato una conferma: le paure sono più che quelle che creiamo noi prima di affrontare una difficoltà di quelle che proviamo poi realmente. Dopo i primi chilometri di vento sulla faccia mi sono sentito sulla mia strada. Penso che l’atteggiamento positivo e la strada stessa abbiano portato agli eventi, buoni o meno, che hanno generato tutto ciò di cui avevo bisogno. Non avrei incontrato quella fantastica famiglia russa se non fossi stato rallentato dal traffico, non sarei stato accolto come un figlio in quell’albergo in Mongolia se non avessi sbagliato strada. Certo, c’è da dire che l’umanità incontrata in quei paesi non è così scontata in altri. Lì, se sei fermo, tutte le persone che incontri vengono a porgerti il loro aiuto, che tu ne abbia bisogno o meno. Ma sono convinto che la chiave sia l’atteggiamento. Il nostro modo di pensare e comportarci si ripercuote sulla vita che viviamo, nelle persone che conosciamo, nelle cose che troviamo.
Questo viaggio ha confermato anche la mia passione per l’esplorazione, la fotografia e la moto. Per quanto la moto sia impegnativa – devi guidarla, ripararla se si rompe, farne la manutenzione – ti dà una libertà incredibile. La libertà è una cosa strana. È vero, non saremo mai liberi del tutto, eppure in questo viaggio mi sono sentito così. Solo per qualche attimo, qualche fuggevole istante, ho trovato me stesso».
RINGRAZIAMENTI
“Questo viaggio è stato reso possibile grazie alla volontà di rompere gli schemi e i limiti che le persone e la società ogni giorno ci impongono. Nasce dall’irresistibile voglia di viaggiare, esplorare, scoprire e confrontarsi. Si realizza su una motocicletta che si fon- de con il suo pilota e il paesaggio e diventa il mezzo perfetto per raggiungere la felicità. Questo è un viaggio realizzato in solitaria, ma non di una sola persona. Per questo è necessario ringraziare chi ha creduto in me, in una vecchia motocicletta e nello spirito dell’avventura. Quindi grazie agli amici motoviaggiatori e ai loro preziosi consigli, a tutti i supporters sui social ma anche agli amici e conoscenti che pur non avendo Facebook e Instagram hanno alimentato la positività per consentire questo viaggio, alla partnership con la Gioielleria Ciacci di Rimini e Dietrich Watches. E poi a tutte le persone incontrate “on the road”: i sorrisi e le risate degli amici Russi, l’umiltà e la curiosità della popolazione Mongola e la simpatia dei tanti viaggiatori incrociati sul cammino. Grazie a Riminiamo per l’intervista e a Voce23 per aver condiviso il mio viaggio sul portale online. E infine grazie alla mia famiglia, che a suo modo mi supporta e sopporta sempre… e che continuerò a far preoccupare!” – Matteo Nanni
Questo brano è solo un riassunto stringato di alcuni momenti del viaggio di Matteo. Vi invitiamo a scoprire tutto sulla sua avventura in Mongolia attraverso i canali social di Facebook (Matthew on the road), Instagram (matthew_on_the_road) e sul sito dedicato (www.matthewontheroad.com).