DIDASCALIE

“Troppa gente si preoccupa dei sensi unici e dei sensi vietati, senza mai mettersi in cammino”
– Fabrizio Caramagna –
Ho scattato questa foto in un pomeriggio di pioggia, al parco della Cava che in questa sta- gione regala colori e panorami surreali.
Vi chiederete cosa possa c’entrare la frase sopra citata con questa foto, e a dire il vero anche io me lo sto domandando, ma non sarei io se così non fosse.
Ed ecco che una cosa che c’entra già l’abbiamo trovata.
Mi ha sempre affascinato la pioggia, mi rilassa il suo scorrere sulle cose, dissetare la terra, essere a volte talmente violenta da spazzare via ogni cosa, ed essere cosi delicata similmente, da non rovinare nemmeno un petalo appena nato di un fiore.
Troppo spesso cadiamo nella consuetudine di definire un gesto, una situazione, ingiusto o sbagliato che sia.
Classifichiamo quello che ci circonda in tante caselle senza riuscire a dare spazio alle emozioni. Al loro sentire.
Tendiamo a dover dare un nome a tutto, a ricercare la perfezione, a cestinare ciò che la comune “visione” non ritiene essere accettabile. Personalmente, me ne infischio della comune visione.
Dovremmo ritornare al sentire.
Dovremmo ricercare gli istinti primordiali della sopravvivenza, della bellezza, dell’essenza. Dovremmo essere più egoisti, in modo da sapere immediatamente cosa vogliamo, senza stracciare i maroni (frutto autunnale comune), con le paturnie dei se e dei ma, di cosa si può fare e cosa no.
Si sta scegliendo col pensiero del male minore qualcosa che in realtà è l’origine della nostra esistenza.
Preferisco cadere, preferisco sporcarmi, preferisco “peccare”, preferisco continuare a sbuc- ciarmi le ginocchia, preferisco ricevere critiche, e non con l’ideologia che siano costruttive, perché anche questa è un enorme e gigantesca cavolata, si dice solo perché fa bello, e si risulta meno orgogliosi.
Insomma preferisco vivere.
Avere le scarpe buone, quelle eleganti, piene di fango, perché non mi bastava essere zuppa di pioggia, volevo anche vedere il paesaggio al di fuori del sentiero tracciato.
Quello dove i miei piedi sprofondavano nel terreno che morbido divorava le mie scarpe fino alle caviglie.
Vedere la nebbia che sopra il laghetto avvolgeva gli alberi e pareva volassero.
Essere rincorsa da una papera perché mi stavo riparando sotto il suo stesso albero.
Gente, sporcatevi, esistono le lavatrici.
Fatto sta, che alla fine di tutto, ritornata sul sentiero tracciato, ho trovato questo ramoscello che invece, era uscito dal suo di sentiero, e ci siamo parlati un attimo. Mi ha detto che forse era meglio se mi portavo un ombrello dietro, ma che si è divertito molto a guardarmi nelle mie peripezie, tanto che, si è dovuto sporgere, e sporgendosi si è staccato da tutti gli altri ramoscelli aggrovigliati, e staccandosi ora, può vedere tutto il lago.