Giovani disagiati, invertire la rotta si può. La dott.ssa Cristina Gaiani racconta il disagio giovanile

Dott.ssa Gaiani, cosa pensa che porti al cosid- detto “disagio giovanile”? Le esperienze di vita? La difficoltà al rapportarsi con i propri coetanei? L’educazione e il rapporto con i genitori?
Le cause del disagio giovanile sono molteplici, nell’ambiente educativo nel suo complesso: famiglia, scuola, comunità sociali come ad esempio il gruppo dei pari, soprattutto durante l’età adolescenziale.
Alla base può esserci una disfunzionalità dal punto di vista educativo e un’alterata formazione ed evoluzione del minore. Questo disagio è frutto di una serie di cause e concause che hanno portato il ragazzo a vivere questo senso di malessere interiore che spesso esplode in adolescenza, fase evolutiva molto delicata per i molteplici cambiamenti in atto a tutti i livelli dell’individuo: somatico, psichico, sociale. Un denominatore comune, pur sempre tenendo conto della specificità di ogni singolo ragazzo (storia personale, temperamento, eventi traumatici, separazioni, ecc.), è l’assenza di comunicazione, di dialogo, di legami affettivi profondi e la presenza di una profondo vissuto di solitudine. La famiglia spesso disfunzionale a livello educativo gioca un ruolo fondamentale. Parliamo di ragazzi che hanno genitori troppo permissivi, che vengono a meno alla loro funzione di adulto, che contiene, protegge, limita, guida, supervisiona il loro operato, le loro amicizie che accanto alla fermezza si pone in una posizione di ascolto e comprensione. Nelle storie di molti ragazzi si registra, infatti, la grave mancanza della presenza di un genitore “autorevole” che educa con fermezza e calore emotivo, facendo sperimentare al figlio una presenza psicologica e un interesse autentico nei suoi confronti che si traduce in un “sentirsi voluto e voluto bene”. Spesso i genitori troppo permissivi sostituiscono la loro presenza con regali, cose materiali, soldi, eccessiva libertà, contribuendo a creare nel ragazzo un profondo senso di vuoto, di mancanza, di insoddisfazione e un comportamento irresponsabile. Dall’altro lato, anche un stile genitoriale molto autoritario può portare nel ragazzo dei danni psicologici importanti, in quanto schiaccia, punisce severamente, giudica e scoraggia il dialogo. Il ragazzino, deve costruire un legame di attaccamento sicuro, deve sentire che i genitori ci sono sempre per lui, deve sentirsi sostenuto ma al contempo imparare gradualmente ad essere indipendente e autonomo. Il genitore, in particolare in adolescenza dove tutto muta e si trasforma, creando nel giovane un senso di smarrimento, deve essere un punto fermo che guida e sorregge, educa attraverso un dialogo costruttivo ed empatico, nel rispetto delle differenze dei rispettivi ruoli e con chiari confini generazionali.
Quindi volendo dare una definizione chiara e semplice del “disagio giovanile” come lo descriverebbe?
Il disagio giovanile non è una malattia specifica ma è caratterizzata da una serie di manifestazioni che possono essere tra le più diverse: da un atteggiamento di isolamento, di ritiro oppure difficoltà relazionale con pari, o anche nei casi più gravi, può manifestarsi attraverso forme di provocazione o bullismo e ancora, attraverso problematiche alimentari. Spesso, però, è caratterizzato da un profondo senso di vuoto e noia, da mascherate emozioni depressive, come la mancanza di scopi, obbiettivi, progettualità, da un senso di inadeguatezza e smarrimento. Una connotazione del disagio giovanile, potrebbe essere, Assenza, Solitudine e Incomunicabilità. Andando avanti poi si può evolvere e manifestare attraverso comportamenti ancora più evidenti e oggettivi come il ritiro (stare sempre chiuso in casa) o attraverso una serie di insuccessi scolastici o ancora il cercare di attirare l’attenzione attraverso gesti provocatori fino alla devianza.
Lei ha lavorato per diversi anni a San Patrignano, quindi a stretto contatto con ragazzi che lottano per liberarsi dalle catene della tossicodipendenza. Secondo lei qual è il motivo che spinge i giovani, ora più che mai, ad avvicinarsi a quel mondo e a fare uso di sostanze stupefa- centi?
Nella maggior parte dei ragazzi ho riscontrato motivazioni riconducibili a un senso di profondo disagio interiore come la noia (la noia spesso cela profondi vissuti depressivi), difficoltà nelle relazioni interpersonali, profondo senso di inadeguatezza e non accettazione di sé. Quindi, l’uso della sostanza come fuga dal sentire, dalla realtà esterna/interna o all’opposto come strumento per percepire emozioni che scuotono dal torpore emozionale, dall’apatia e li fanno sentire “Vivi”.
Come avviene l’ingresso in comunità e quali sono i percorsi riabilitativi?
Per quanto riguarda i minorenni, entrano attraverso provvedimenti del tribunale, tramite i servizi sociali o tramite l’AUSL. Vengono inseriti in percorsi educativi e riabilitativi individualizzati che vengono elaborati in- sieme ai servizi sociali, sulla base delle problematiche presenti, delle esperienze di vita e delle dinamiche familiari. I ragazzi guidati da educatori specializzati imparano a costruire rapporti sani basati sulla comunicazione, il dialogo e il rispetto. Vengono educati al senso di responsabilità, alla cura di sé e delle cose proprie e altrui. Attraverso attività ludiche, ricreative, educative e alla vita comune, apprendono il valore della vita e l’importanza delle piccole cose, a cui danno un senso e importanza. I ragazzi, hanno inoltre possibilità, dopo aver ritrovato una condizione psichica di equilibrio, di terminare l’iter scolastico o imparare attività lavorative. Essi vengono inoltre aiutati a riparare o ricostruire le relazioni familiari compromesse dall’uso delle sostanze o da situazioni conflittuali pregresse e a risolvere dinamiche familiari disfunzionali. L’obiettivo è la crescita armonica del ragazzo in tutte le sfere della sua personalità. Nello stesso tempo anche i familiari, tramite le associazioni esterne di genitori presenti sul territorio nazionale, possono intraprendere un “percorso” di cambiamento al fine di modificare l’ambiente familiare in cui, salvo rare eccezioni, il ragazzo verrà reinserito a fine programma.
Qual è secondo lei il ruolo della famiglia in una situazione del genere? (sia in negativo che in positivo)
La famiglia spesso riveste un ruolo centrale. Una famiglia che ha un buon dialogo e una buona comunicazione con il figlio riesce sempre a percepire “quel qualcosa che non va”, si accorge del cambiamento delle abitudini del figlio (rientri notturni sempre più tardivi, notti passate fuori casa, calo scolastico, richiesta continua di soldi), del cambiamento d’umore del figlio o altre stranezze comportamentali. Il giovane lascia spesso delle tracce nonostante il tentativo maldestro di celarle o giustificarle con bugie. Purtroppo, spesso, il genitore sottovaluta o sminuisce i segnali e preferisce far finta di niente attribuendoli all’età adolescenziale o talvolta andando in comprensione e giustificando questi comportamenti (ormai tutti si fumano le “canne” è l’età). Talvolta, dietro a queste giustificazioni, che altro non sono che meccanismi di negazione, si nasconde la paura e il profondo senso di fallimento.
E della scuola?
Il giovane trascorre una parte della sua vita nell’ambito scolastico ed è per questo che la scuola potrebbe davvero fare la differenza, in particolare per i ragazzi che alle spalle non si ritrovano una famiglia presente e solidi punti di riferimento. In questi ultimi decenni sono avvenuti importanti cambiamenti sociali, culturali, e anche la famiglia ha subito importanti trasformazioni e i giovani si ritrovano sempre più soli e privi di valori profondi. Pertanto la scuola si deve rinnovare per rispondere ai nuovi bisogni dei ragazzi che non si esauriscono nell’apprendimento di nozioni e conoscenze. L’approccio scolastico tradizionale oppone lo sviluppo intellettuale a quello emozionale e di fronte al crescente disagio emotivo l’educazione alla competenza emotiva appare fondamentale. I ragazzi hanno bisogno di riscoprire passioni, interessi, motivazioni, imparare a comunicare, dialogare, il rispetto ad assumersi le responsabilità. Anche a livello di prevenzione potrebbe fare molto per contenere i crescenti fenomeni di bullismo, atti antisociali e l’assunzione di sostanze stupefacenti, con progetti di sensibilizzazione verso le droghe (spesso nei giovani non c’è consapevolezza), piani di trattamento contro il bullismo ecc. Spesso l’aula, è il luogo dove il disagio esplode maggiormente e fuori dalla scuola se non controllato può assumere nel tempo la forma di devianza. Bisogna costruire una comunità educativa ed educante, dove anche il docente assume una funzione di guida nei momenti di difficoltà.
Le amicizie quanto possono influire?
Il gruppo dei pari ha una grandissima influenza perché l’adolescente ha bisogno di individuarsi e separarsi dalla famiglia e investe pertanto maggiormente le relazioni all’esterno della famiglia. Il punto di riferimento principale diventa il “gruppo dei pari” attraverso il quale conosce se stesso (funzione di specchio del gruppo), si sperimenta e costruisce la sua identità sociale. Appartenere a un gruppo implica condividere in toto le norme, le regole e assumere comportamenti conformi agli altri membri in cui ci si riconosce. Se il gruppo “non è sano” il giovane per conformismo, per il forte desiderio di appartenenza, per timore di venire espulso o isolato potrebbe assumere comportamenti devianti come l’assunzione di sostanze o atteggiamenti antisociali. Pertanto, a questa età, facilmente le cosiddette “cattive compagnie” potrebbero favorire l’assunzione di droghe e comportamenti a rischio. La supervisione della famiglia e la guida nella scelta del gruppo, in particolare nella fase iniziale, appare fondamentale.
Condizioni di disagio vissute in età pre-adolescenziali possono portare quindi alla ‘maturazione’ di un giovane problematico, che manifesta carenza d’affetto, voglia di isolamento e difficoltà a relazionarsi se non con pari in cui si rispecchia. Grazie all’intervento della psicologa e psicoterapeuta Cristina Gaiani, ora possiamo riconoscere i molteplici segnali che la maggior parte delle volte i giovani ci mandano in modo inconscio.
