I PROFESSIONISTI. Diritto all’immagine. Le avvocatesse rispondono

Il diritto della persona alla propria immagine si esplica attraverso il divieto a carico di terzi, di utilizzare, pubblicare e/o esporre qualsiasi ritratto altrui. Nel corso degli ultimi anni la proliferazione di siti predisposti ed ideati per fornire all’utenza uno spazio virtuale ove condividere e proiettare veri e propri spaccati di vita personale sembra aver messo a dura prova la tutela della propria riservatezza. Non di rado capita, infatti, che immagini “pubblicate” e/o “taggate” nella propria area personale, a causa dell’ampio raggio di accesso al social network, finiscano per essere considerate automaticamente come “materiale pubblico” con conseguente utilizzazione delle stesse per scopi estranei e/o ultronei rispetto a quelli inizialmente ipotizzati dal legittimo titolare.
E questo del tutto erroneamente.
Solo il consenso della persona rappresentata rende infatti lecito l’utilizzo e la divulgazione della sua immagine. E ciò indipendentemente dal contesto e/o dal canale comunicativo prescelto e senza margine di deroga alcuna. La possibilità di prescindervi in assenza di consenso vi è solo in limitatissimi casi, allorché, ad esempio, sussistano emergenti motivi di notorietà del personaggio ritratto, oppure qualora vi siano necessità di giustizia, polizia, scopi scientifici, didattici o culturali o quando la riproduzione sia collegata a fatti o avvenimenti di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
In ogni altra circostanza l’utilizzo non autorizzato ed inappropriato da parte di terzi dell’immagine altrui legittima il diretto interessato a chiedere la più opportuna tutela all’autorità giudiziaria, sia in sede civile che, qualora ne ricorrano i presupposti, in quella penale.
