IL BISOGNO DI SUONARE. Paolo Sgallini La strada che si fa palco

Passeggiando in un pomeriggio di ottobre nel centro di Rimini, ho avuto come la sensazione che mi mancasse qualcosa.
Nella passeggiata successiva mi ha accompagnato lo stesso sentimento.
Non sono riuscita a capire cosa, fino a quando non mi sono ritrovata nel punto esatto.
Ero in mezzo, tra l’edicola di Piazza Tre Martiti e il bar Dovesi.
Ero lì in mezzo e LUI non c’era. Subito un vuoto mi ha pervasa e una malinconia speranzosa mi ha fatto girare per le vie e restanti piazze di Rimini, credendo avesse voluto, per una volta, cambiare posto. Ma LUI continuava a non esserci, né la sua musica e voce, che come un serpente mi incantava ogni volta.
Delusa ritornai a casa.
Di lì a poco, incominciai a leggere sui giornali che a causa del volume troppo alto dei loro amplificatori, gli artisti di strada erano stati allontanati dalle nostre piazze.
Tutta Rimini si è schierata per uno in particolare, il nostro Paolo Sgallini.
Da qui, il desiderio di incontrarlo per conoscerlo e capire.
Capire che cosa spinge un uomo a cantare per le strade, come ci si organizza, e semplicemente, conoscerlo.
Lo incontro una mattina di Dicembre proprio lì, nel suo posto, oramai vuoto, e la nostalgia sale all’istante ad entrambi. Ci sediamo al bar, tra una tazzina di caffè e racconti di viaggio incomincia il nostro cianciare.
Lo affronto così: Chi sei?
Mi chiamo Paolo Sgallini, ho 49 anni, sono del 19 Febbraio, nato a Novafeltria ma da sempre vissuto a Rimini. Sono un artista di strada, marito e padre di tre femmine, 7, 11 e 13 anni. Per solidarietà abbiamo preso un gatto, MASCHIO! Il mio lavoro è suonare e portare la mia voce nelle piazze. Subito mi ritrovo rapita, con mille domande e curiosità. Esprime il desiderio di non parlare di certe cose, a volte la gente è rinchiusa così tanto nei suoi pregiudizi che tutto il resto non avrebbe più importanza. E per tutto il resto intendo LUI, la sua persona, il suo essere, e il perché.
Subito così gli chiedo: Come sei arrivato alla scelta di suonare nelle Piazze?
Le strade, le piazze, la gente che passa e si ferma, e si ferma perché in uno strano qualche modo tu.. le attiri, ecco, è qualcosa che mi ha dato sempre l’idea di vero. Conosci le persone, vedi le loro espressioni. Ho sempre lasciato un quaderno dove la gente può scrivere un pensiero, una volta una donna mi scrisse: “Stava per concludersi in modo definitivo questa mia giornata triste, poi sono passata davanti a te, e ho cambiato idea.” Ecco credo che non ci sia cosa più bella che possa fare. Qui c’è sempre un po di magia, che in altri contesti non si trova. Non ho l’ambizione di cambiare il mondo suonando un pezzo per strada, ma forse quello privato delle persone che mi ascoltano sì.
E’ strano come in questo periodo, io incontri sempre un certo tipo di persone e situazioni. Tutto che richiama il vero, che mi riporta alle emozioni primitive. All’essenzialità. Al tempo. Fatico a non commuovermi, e spero che lui non abbia notato i miei occhi, che come al solito, sciocchi, si riempiono di stupore, entusiasmo e qualcosa simile ad un liquido salato. Gli chiedo se oltre a portare le cover delle canzoni ne ha mai suonata una sua, mi dice che non ne ha mai avuto il coraggio.
“Mi sarebbe sempre piaciuto racchiudere i pensieri dei passanti in una canzone tutta mia, ma ancora evidentemente non è arrivato il momento.”
Da quanto tempo suoni nelle piazze?
A Febbraio sono 9 anni che faccio questo lavoro. Oltre che a suonare per le nostre strade faccio anche concerti, House Concert, compleanni, matrimoni e Festival. Spesso mi chiamano all’estero. Sono stato in Messico, Germania, Dublino, Francia, Austria. Riporto esattamente il mio modo di suonare e cantare che ho per strada, non porto mai basi, mi piace a seconda della situazione riportare l’intenzione di quel momento esatto.
Qui lo interrompo. Mi accorgo che fa un mucchio di cose, mi accorgo cheparlasempredelsuonarecome del suo LAVORO, ma sopratutto, mi rendo conto che ho un concetto completamente errato degli artisti di strada. Lo confesso, e penso di racchiudere quello che in molti pensano. Si chiamano Artisti di Strada e lo sono. Solo perché si vede a terra un contenitore dove la gente può ringraziarli offrendo denaro, non vuol dire che lo stiano elemosinando.
Mi sento piccola. Mi piace quando mi si stravolge il pensiero.
“È sempre un salto nel buio, non sai mai quanto puoi “portare a casa”. Sei sempre Borderline, per la società. Credo che in questo caso la differenza tra te che suoni e uno che chiede l’elemosina la debba fare proprio tu in prima persona, in questo caso io. Sono io che devo far capire alla gente che mi ascolta, che questo per me è davvero il mio lavoro, ed è un lavoro che ha una dignità. Se tu pensi che già ai tempi dell’antica Roma c’erano gli artisti di strada, infatti non a caso si dice che è il secondo mestiere più antico al mondo. I più grandi hanno iniziato per strada, Paul Mccartney, Bob Dylan, anche nei nostri tempi, c’è Ed Sheeran che ha iniziato a suonare per strada che aveva 14anni cantando sempre canzonisue.Èunamentalitàche forse all’estero è già presente, qui in Italia si fa un po più fatica. Ricordo le prime volte, che avevo lasciato il lavoro per venire a suonare in piazza, nella mia città, dato che comunque all’estero già lo facevo, e i miei amici venivano a casa preoccupati, chiedendomi se avevo bisogno di soldi. Perché è così, anche chi ti conosce da una vita, pensa sempre al peggio. Molti sono avvocati, ne conosco uno che insegna all’università ingegneria elettronica, un altro, che insegna fisica, eppure scendono in piazza a suonare. Fai questo lavoro perché hai un bisogno dentro. Che non è materiale. Magari da ragazzo lo fai per attirare le ragazzine, (questo mi aveva detto di non metterlo!) ma crescendo, lo fai perché hai BISOGNO di farlo.”
È un lavoro che ti permette di vivere?
Purtroppo ora, qui a Rimini, ci hanno allontanato dalle piazze, a causa di quest’estate dove sono venuti veramente in tanti a suonare, e a causa dell’eccessivo rumore ci hanno dato l’alt. Questo esodo ha penalizzato noi della zona purtroppo che abbiamo dovuto cercare altre piazze, come Pesaro, Riccione ecc. Ma continuano anche a chiamarmi all’estero, adesso ad esempio per il ponte del 8 Dicembre, devo andare in Germania a suonare a casa di un signore dove sono circa 7/8 anni che mi chiamano. Speroperò che questa, su Rimini, sia solo una breve parentesi. Io e un mio collega, siamo andati a parlare con un consigliere comunale, come rappresentati della Federazione Nazionale Artisti di Strada. Quello che più ci interessa è che si metta mano ad un regolamento, che non protegga solo il nostro unico lavoro, ma che mantenga viva L’Arte di Strada pur salvaguardando le piazze che hanno una loro dinamica e di conseguenza vanno rispettate. Credo ci siano buone possibilità perché questo avvenga, il sindaco stesso si è battuto per venirci incontro e ricordo che mi disse: “Se Rimini vuole essere all’altezza delle grandi capitali Europee, gli artisti di strada ci devono essere.” Infatti abbiamo fatto richiesta per suonare almeno adesso, durante le festività di Natale, e spero che si possa realizzare.
Insegni anche?
Sì mi piace fare anche questo. In questo momento ad esempio ne ho 4, compreso un signore di 80 anni che l’anno scorso è venuto in piazza da me e mi ha detto: “Io voglio suonare uno strumento, perché se tengo la mente impegnata non mi viene l’alzheimer!” Non gli dai 80 anni, per niente. È attivo, sveglio. Molto autocritico. Adesso ha cominciato con l’Ukulele, poi vediamo. Molte persone avanti con gli anni mi dicono che gli sarebbe sempre piaciuto imparare a suonare uno strumento, credo che per questo non ci siano mai limiti di età. Sicuramente non è come iniziare a 4 anni, ma si fa sempre in tempo.
Quando hai incominciato ad avvicinarti al mondo della musica?
Forse da sempre. Quando avevo 10 anni scoprì una chitarra su un armadio dei miei, era di mio padre, ci misi parecchio ma poi riuscì a farmela dare. Dopo qualche tempo, i miei genitori notando la passione che mi legava a questo strumento e mi mandarono in una scuola. Ho studiato chitarra classica da Comandini in piazza Ferrari, poi quando il mio percorso con lui è finito, mi ha indirizzato a Riccione, nella scuola Comunale. Ho sperimentato anche la chitarra elettrica, nel periodo in cui non ascoltavo altro che Rock, ovvero Pink Floid, Led Zeppelin e Dire Strait. Poi ho cominciato a suonare nei locali quando avevo 19 anni. Adesso, un sogno che ho nel cassetto, sarebbe di tornare al conservatorio, per cimentarmi nel Jazz, un ramo che mi ha sempre affascinato ma che non ho mai praticato.
A che musica ti ispiri?
Sicuramente anche ai nostri cantautori Italiani, De Andrè, De Gregori, Lucio Dalla, Vasco. Quelli che hanno qualcosa da dire. Sono convinto che la musica sia importante, ma sono altrettanto convinto che lo siano ancor di più le parole. Proprio l’altro giorno analizzavo Anna e Marco di Dalla (da sempre, dico io, nella mia play list), come anche i testi di De Andrè, e mi sono reso conto, che in quel momento, solo quella parola poteva andare bene, nessun’altra. Sono parole pesate, importanti, non stiamo parlando di parole come “amore, cuore, batticuore ..” Adesso purtroppo quello che c’è sul mercato italiano, a livello di testo è molto povero. Forse perché siamo legati a questa cosa dei talent, dove tra l’altro un paio di volte sono stato invitato a partecipare anche io, ma che ho sempre rifiutato. C’è dietro tutto un meccanismo fatto di commercio e basta. Per un’estate ti spremono, canti quello che vogliono loro, come vogliono loro, con i vestiti che vogliono loro, e per quell’estate tu sei la stella. Poi, poi cadi nel dimenticatoio, perché bisogna fare la stessa cosa con quello venuto dopo di te. Per citarne uno che non si è piegato al business qui di Rimini è Daniele Maggioli, che ha un gran seguito, e dice cose importanti, ma rimane nel suo.
Sei stato davvero in tanti posti, (come mi racconta durante l’intervista) l’esperienza che ti ha colpito in modo più forte?
Sicuramente quando sono stato in Messico.Eroallafieradelturismoqui in Italia e una signora Messicana mi si avvicina e mi chiede il bigliettino. Io lo lascio sempre, ma a volte non immaginando realmente che mi possano chiamare. Invece mi hanno chiamato. Stavano organizzando un concerto dal titolo Encuentro, dove lo scopo era portare la musica in un solo posto ma che provenisse da ambienti e tipologie differenti. Ma ho anche suonato nella loro accademia militare, nelle Favelas, poi a Campeche nelle piazze, a Guadalajara, dove a dei bambini un giorno, chiesi di portarmi la stessa cosa che stavano mangiando loro, e arrivano con delle cavallette fritte! Ovviamente le ho mangiate! Non c’è stata una sera dove non sono stato invitato a casa dei locali. Un atmosfera e accoglienza che non scorderò mai. Credo che solo per questo viaggio sia valsa la pena della mia scelta.
Mi immagino il suo Messico. Io ricordo il mio, fatto di colori, profumi, risate, tradizioni antiche Maya, Cenote. Fatto di Malena e i suoi racconti, di un amicizia nata all’improvviso. Mi perdo, oramai avete imparato a conoscermi, io mi perdo spesso. Ma poi ritorno! È passata più di un ora, e gli avevo promesso che non lo avrei trattenuto a lungo, quindi gli chiedo unultimacosa,unsuomotto,un pensiero che lo rappresenta e mi dice così:
“La penso un po’ come i greci, loro si chiedevano: “Se a un uomo gli togli le arti figurative, visive, cosa gli rimane? Perché vivi?” Vivi solo perché il mese prossimo vuoi comprarti la macchina nuova? L’ultimo modello di cellulare? Oggi siamo tutti catalogati dentro degli schemi, e sembra che non ne puoi uscire, e se ne esci sei un fuori classe, che ancora spesso non è vista come cosa positiva, ma negativa. Quello che faccio io, mi permette una vita dignitosa, non avrò mai la pensione, (al che subito penso, “beh Paolo, tanto non ce l’avrò mai nemmeno io!”) e nemmeno ferie e malattie pagate, non mi farà certamente diventare ricco, ma non sono interessato a quel tipo di vita. Il mio obiettivo è arrivare alla gente con la mia bandana sudata e le mie canzoni. È il mio BISOGNO, quello di suonare. Una volta un signore mi disse una cosa che per una settimana intera mi lasciò seduto a riflettere: “Tu sai perché sono nati gli strumenti musicali? Gli strumenti musicali sono nati perché la gente aveva bisogno di buttare fuori la musica che aveva dentro, perché tu la musica ce l’hai dentro, e in qualche modo cerchi di esprimere questa energia musicale che hai dentro. Ecco perché sono nati gli strumenti.” Pensa al primo che ha costruito, ad esempio una chitarra, voleva dire qualcosa, e voleva dirla proprio con quello strumento lì. Ecco perché sono un po contrario agli strumenti prefabbricati, non hanno la passione e l’energia del liutaio, dell’artigiano che li ha costruiti e modellati apposta perché facessero quel tipo di suono.
Le passioni ci accompagnano da sempre, sono nella pancia che ci tiene cullati per nove mesi, e parlano della nostra nonna incapace di mostrarsi fragile, di nostro nonno, che amava troppo, dei nostri bisnonni, dei nostri antenati, dell’universo che ci ha donati. Una vita ci è stata data come regalo, una vita per regalare a nostra volta ciò che noi siamo. Usiamola. Costruiamoci il nostro “strumento” e andiamo nelle piazze a “suonare”. Grazie Paolo per la tua voglia D’ESSERE.