INTERVISTE SURREALI: IL FULGOR SI RACCONTA

Che nel sangue di Rimini scorra qualcosa di freak mi è ormai chiaro. Forse è il lato aperto dalla parte del mare che lascia entrare le idee.
Mentre cammino e penso passo davanti al vecchio Fulgor. Da poco hanno rimesso la grande insegna e a breve riaprirà.
Sono elettrizzata.
Chissà se ha sofferto questo vecchio cinema dopo aver ricevuto tutti quei colpi alle ossa, o se è contento di aver bevuto l’elisir di lunga (e nuova) vita e di essere tornato a splendere. Sarà di nuovo dei nostri, anzi, saremo di nuovo dei suoi.
Lo guardo dal basso e rallento i piedi.
«Oh bè bellina» una voce profonda e sicura mi
fa traballare «vecchio lo dici a qualcun altro!» Che strano, mi avevano detto che quelle pa- sticche omeopatiche avrebbero funzionato.
«Hei! È inutile che fai finta di niente. Vieni un po’ qui, tu, che ti spiego un paio di cose.»
Guardo la grande insegna e mi chiedo se sto bene.
La voce insiste «Oooh pronto?!» e io sto benissimo.
Il Fulgor mi sta parlando.
Decisa a non perdere l’occasione di fargli qualche domanda spingo la porta che pensavo fosse chiusa ed entro.
Buio.
«Signor Fulgor…?»
«Ferma lì. Non posso ancora accendere le luci, devo rimanere una sorpresa per tutti voi fino all’apertura. È da un po’ di tempo che passi qui davanti, non è così? Dai su, inizia con le domande che non ho tempo da perdere. Prima cominciamo, prima finiamo.»
Sono incredula ma percepisco la fretta nelle sue parole. Decido di stare calma e inizio con qualche impacciata domanda.
«Come stai Fulgor?»
«Molto bene, grazie. Lo sai che mi stanno preparando, no? Sarò bellissimo e non vedo l’ora di ospitarvi tutti. Mi siete mancati tanto. Nulla vale il solletico dei vostri passi, gli sguardi rapiti sullo schermo, i vostri sederi sulle mie poltrone. Per non parlare dei baci! Quante cose hanno visto queste mura…»
Ha voglia di raccontare. Lo capisco e lo incalzo. «Immagino! Sai Fulgor, io sono stata adottata da Rimini ma non conosco bene la tua storia. Com’eri prima? Sei sempre stato qui? Quanti anni hai?» Cerco di far passare in sordina quest’ultima domanda.
«Non fare la furba con me. I miei anni non sono un segreto, puoi dirlo anche a quelle sciocche multisala che conoscono solo piedi veloci e distratti. Ho da poco superato i cento, il 5 novembre è stato il mio 103esimo compleanno: 5 novembre 1914, e poi dimmi se non me li porto bene. Certo, ho avuto anche io qualche aiutino, ma mica tanti a pensarci bene! Sono nato a inizio secolo in uno degli edifici più belli dell’Ottocento riminese, palazzo Romagnoli, nei locali dell’albergo Aquila d’Oro. Sono del segno dello scorpione e questo la dice lunga.»
«Pensavo fossi sempre stato qui, a palazzo Valloni…»
«No mia cara. Rimini ha passato dei momenti dav- vero difficili durante la Prima Guerra Mondiale e a questa stupida invenzione umana la natura si è ribellata. Nel maggio e nell’agosto del 1919 due violente scosse di terremoto fecero traballare la città e il cuore dei riminesi, compreso il mio. Nessuno di noi edifici era pronto. Alcuni ebbero i nervi saldi mentre altri, già messi a dura prova dalle bombe, non furono abbastanza forti. Tra questi c’ero anche io. Nel settembre dello stesso anno la Congregazione, la mia prima proprietaria, stabilì che i miei danni erano troppi e troppo gravi e diede l’obbligo di sgombero immediato.»
Silenzio.
«Ué burdel cos’è quella faccia triste! Pensi che abbia mollato così? Ma va là! Insomma come ti dicevo mi danno l’obbligo di sgombero immediato. In quel periodo ero ancora uno stanzone rettangolare preceduto da una profonda sala d’aspetto. Condividevo le mura con le cucine dell’albergo, e non solo quelle. Erano delle cucine bellissime, profumate e calde. In teoria avrei dovuto fare fortuna fin da subito, ma non fu così. La Congregazione cedette l’affitto dei miei locali alla signora Zuffa, già proprietaria del Bar Centrale, che a sua volta, dopo “baruffe chiozzotte” e a poca distanza dall’inaugurazione, fece subentrare la signora Soave. A Rimini fu la signora Soave ad essere considerata per molto tempo la “proprietaria” del Fulgor. Che sarei io, poi.»
“Il signor Fulgor è un po’ fuori” penso tra me e me prima di ricordarmi che sto parlando con un cinema che legge i pensieri. «Domanda indiscreta: quanto era il tuo affitto in quegli anni?» chiedo curiosa.
«Un bel po’ ragazza, 2.850 Lire»
Sorrido.
«Ma non farmi perdere il filo del discorso. Insomma “Il Fulgor è morto, viva il Fulgor!” disse più di qualcuno non appena mi sgomberarono in quel lontano settembre. Non sapevano però che la signora Soave, tra mille polemiche, stava già cercando un altro locale. E lo trovò! Non ricordo bene quando, ma tra il 1920 e il 1923 sbocciai nuovamente come un fiore in primavera e in un altrettanto significativo edificio: palazzo Valloni»
«Questo qui…»
«Esattamente. Non ero un ambiente vasto: una galleria, la platea e un palco rialzato su cui stava lo schermo. In galleria c’erano i primi posti, quelli più costosi e con le poltroncine di velluto, mentre la platea aveva due settori. I secondi posti, che avevano l’accesso dall’entrata principale come i primi, e i terzi posti erano insieme. Questi ultimi costavano solo 11 soldi, erano i più economici della città e vi si accedeva da via Verdi»
«Immagino che il cinema fosse qualcosa di ben diverso da quello che siamo abituati a vedere oggi.»
«Non puoi nemmeno immaginare quanto, bambina. Ma lo sai che erano un pianista e una picco- la orchestra a dare il suono ai film? Certo, c’era anche chi si lamentava del fracasso ma era molto divertente. Il pianista guardava la pellicola in anticipo per regolarsi con le musiche, pronto a muovere le dita a tremolio sulla tastiera per dare l’impressione del movimento dell’acqua, a premere le note più fonde quando le scene diventavano truci e quelle più alte quando c’era di mezzo l’amore.»
Sono incredula e innamorata.
«Quando invece c’era una battaglia, delle persone dietro allo schermo battevano forte assi e catinelle, o delle tazze di legno per riprodurre gli zoccoli dei cavalli. Insomma, tutta un’altra storia. Quante risate!»
Lo ascolto sempre più emozionata. Mi racconta che le persone avevano voglia di stare insieme, di stare insieme cavolo! e che la televisione non li aveva ancora ingabbiati. Molto si portavano i panini da casa e passavano nella sala del mio intervistato tutto il pomeriggio. Era il loro luogo comune, un Fulgor common space direbbe qualche artista.
«Per anni e anni continuarono a frequantarmi as- siduamente, soprattutto la domenica. I ragazzini vedevano in me un luogo accogliente e in Carlo Massa, passato a sostituire la madre nella gestione, una figura paterna, severa e bonaria. Sarà stato perché, ogni volta, faceva entrare tutta la ragazzaglia che si piazzava sotto alla cassa con qualche soldo. Alcuni offrivano i loro servizi come vendere le caramelle negli intervalli in cambio del biglietto d’ingresso. Carlo Massa era un vero personaggio. Ma non c’era mica solo lui. La coppia perfetta erano Maciste, un uomo con due prosciutti al posto delle braccia con cui i bambini si divertivano a lottare, e il suo fedele compagno Vespignani, che strappava i biglietti all’entrata per poi dormire in fondo alla sala diventando bersaglio di qualsiasi tipo di scherzo.»
Silenzio.
La temperatura si abbassa e rabbrividisco. All’imporvviso tutto è umido e freddo.
«Signor Fulgor?» chiamo timidamente.
«Si. Sono qui.»
«Che successe poi?»
«Qualcosa di triste. Il 1° novembre 1943 la città subisce il primo di una serie di bombardamenti. È terribile, è tutto distrutto, tutto mi fa male, sono ferito, dilaniato. Sventrato. E crollo.»
Silenzio.
«La gente cominciò a scappare. Massa e la famiglia riuscirono a salvare qualche mio organo: due macchine da proiezione e alcune sedie. Portarono tutto nel luogo di sfollamento a San Marino. Da qui fu tutto incredibile, doloroso e bellissimo: riuscirono ad avere una sala spoglia e il permesso per adibirla a cinema. Lasciai gli abiti liberty e divenni il “cinema degli sfollati”. Le persone non mi abbandonarono e io, come Massa, non abbandonai loro. La domenica sera continuarono ad occupare alla meglio i miei umili spazi spinti dal desiderio di dimenticare tutto il mondo fuori.»
«Cosa successe nel frattempo a palazzo Valloni?»
«Venne requisito dagli alleati, risistemato in fretta e utilizzato come cinema dalle truppe anglo-americane. Poi ripartirono, era il ‘46.»
«E poi?»
Mi ritrovo nervosamente in piedi.
«Quando ripartirono mezza Rimini era al buio, ma se non c’era riuscita la guerra a fermare quel leone di Massa non fu di certo qualche lampadina in meno a farlo.
Carlo si procurò un generatore a nafta, riportò subito le macchine e le sedie nel vecchio locale sul Corso è magia! RIPRENDO A VIVERE! Durante il giorni gli operai lavoravano duro per riparare i danni della guerra ma nel pomeriggio…» sento un sorriso nella sua voce «…nel pomeriggio si proiettava di nuovo sotto le impalcature. Diventai il “cinema della ricostruzione” e quanta felicità!» «…e poi??»
«E poi niente mia cara, arrivò il Neorealismo. Ma i riminesi sono sempre stati un po’ particolari, degli esteti. Proprio perché dopo la guerra cominciò un periodo di durezze e di profondi cambiamenti non accettarono – anzi, non accettammo – di allontanare quell’evasione cinematografica che ci permetteva ingenuamente di non vedere la realtà. Il Neorealismo fece quindi cilecca.»
«E Carlo Massa?»
Un sospiro nostalgico mi scalda.
«Carlo Massa fu riconosciuto per la sua attività a livello nazionale nel 1961 e nel ‘62 scomparve e così anche io. Le mie porte si chiusero e la mia storia finì.»
«Ma non definitivamente…»
«Qui hai ragione! Sono passati tanti anni, molte persone tra quelle che ho conosciuto non ci sono più, altre sono cresciute e faticherò a riconoscerle, ma ne incontrerò tante altre. I tempi sono cambiati, chissà se io riuscirò a riprendere il passo e a mantenerlo.»
«Tu sei un anziano sveglio, Fulgor, e il passo l’hai già ripreso. E poi i tempi sono cambiati, questo è vero, ma i riminesi amano ancora la bellezza e ameranno te.»
«Grazie.»
«No, grazie a te Fulgor. Ci vediamo presto.»
Abbraccio quella che penso sia una colonna ed esco fluttuante.
Non gli ho dato il tempo di raccontarmi del periodo di Fellini, è vero, ma ho preferito lasciarlo parlare di sé tenendo il capitolo “Federico” per la prossima volta. So che la loro storia è stata intensa e importante per entrambi.
Cinema Fulgor.
Il cinema più vecchio di Rimini, il più famoso,
il più frequentato e il più economico. Il più liberty. Il cinema che più ha traslocato e che più si è adattato: il cinema giovane e incerto degli inizi, quello grande degli ‘20, quello degli sfollati durante la guerra e quello della ricostruzione alla fine.
Questo capitolo si chiamerà “La ressurrezione” e ne faremo parte noi.
Mi chiedo a chi e come ci racconterà tra altri cento anni…
«Hei Ponte!» sento la sua voce profonda in lontananza
«Dimmi Fulgor»
«Oh ma hai sentito che Grattacielo è diventato famoso? La prossima volta lo guardiamo da me!»