LA CHIESA DI SAN GIULIANO

 LA CHIESA DI SAN GIULIANO

Poche ed incerte sono le notizie riguardanti il santo martire, per lo più provenienti dalla trasmissione orale.
Giuliano di Anazarbo (o di Tarso, di Antiochia o di Cilicia), nato nel 231 in Istria da un senatore greco e dalla cristiana Asclepiodora, è considerato santo anche dalle chiese ortodossa ed armena.
Sul suo martirio vi sono date discordanti: il 21-22 Giugno 249 ad opera del proconsole Marziano durante la settima persecuzione condotta dall’imperatore Traiano (Gaio Messio Quinto Traiano Decio) od all’inizio del
IV sec. (303/304 – 311) durante la più grande e l’ultima persecuzione dei tetrarchi Diocleziano, Galerio, Massimiano e Costanzo Cloro (padre dell’imperatore Costantino). La tradizione vuole che dopo averlo condannato a morte, Marziano lo fece prima rinchiudere in un sacco assieme a serpenti velenosi e sabbia, poi gettare in mare. Il suo corpo si spiaggiò sull’isola di Proconneso situata nel mare di Marmara fra la Turchia europea ed asiatica, ove fu sepolto in un grande sarcofago di marmo posto su uno scoglio a picco sul mare. Nell’estate del 957 detto scoglio franò in acqua e con esso il sarcofago del Santo che però non si inabissò e, trasportato dagli angeli, giunse a Rimini in località Viserba Monte ove si arenò sulla spiaggia detta “Sacramora” (cioè della Dimora Sacra), ove sgorgava già da tempo una polla d’acqua (altre fonti vogliono invece che il suo sarcofago fosse invece giunto dall’Istria).

Poichè il vescovo tentò ripetutamente di trasportarlo nella cattedrale senza riuscirvi (i buoi si rifiutarono di trasportarlo), fu deciso di consegnarlo ai benedettini che immediatamente portarono a termine con successo l’operazione. Fu così posizionato sotto il portico ove fu effettuata la sua apertura sotto l’egida del vescovo e successivamente fu posto in una cappella costruita per ospitarlo. In seguito a tutto ciò, nel 1164 la dedicazione della chiesa fu variata in “dei santi Pietro Paolo e Giuliano” per poi divenire dal XIII sec. Solo di San Giuliano. Il popolo riminese tributò da subito una grande venerazione a quei resti mortali ai quali si attribuirono molti miracoli, e nel 1225 lo elesse quale capatrono assieme a S. Gaudenzo e Santa Colomba. A commemorazione dell’elezione, nel 1250 il Comune autorizzò il Monastero a coniare il “Denaro riminese”, recante il nome del Santo.

STORIA

La chiesa è situata nel borgo omo- nimo situato oltre il ponte di Augusto – Tiberio. Anche se non documentate, si pensa esistesse un’abbazia benedet- tina cui la chiesa partecipava, dedicata agli Apostoli Pietro e Paolo, ben prima del IX sec., a quando cioè risalgono i primi documenti. Lo storico Cesare Clementini (Rimini, 1561 – 1624) ci dice che la chiesa era stata eretta su un pre esistente tempio romano ma, no- nostante i recenti scavi eseguiti non se ne hanno conferme. Risultano invece segni di un coevo insediamento ur- bano scomparso con l’apparizione di sepolture dal III-IV secolo.

In un articolo di Enrico Morolli su “Il Ponte” del 29 Agosto 2014 intitolato “La chiesa scomparsa” testualmente si legge:

“una bolla di Papa Benedetto IX del 1033, con la quale venivano conces- se al Monastero dei SS. Pietro e Paolo (l’odierna abbazia di San Giuliano), presso il ponte marmoreo, chiese e beni situati in città e nella diocesi di Rimini. A questo cenobio riminese, si legge, erano tra l’altro assegnate “la Pieve di San Martino di Bordonchio, la corte di San Patrignano con le chie- se di San Giovenale, San Lorenzo in Filicino, di San Pietro in Salto, di San Mauro, la cella di San Martino in Ri- parotta, Santa Maria in Bulgaciano ed il Monastero di San Vitale dentro le mura della città”. Nella successiva bolla, del 25 marzo 1078, si ha conferma di questo. Infatti qui è detto che il Papa Gregorio VII concede a San Giuliano la pieve di Bordonchio con la corte di San Paterniano e le chiese di San Giovenale, San Lorenzo in Filicina, San Pietro in Salto, San Mauro e la cella di San Martino in Riparotta e metà della Pieve di San Vito con i fondi Quadraginta e Fontana Sabina (Apografi Garampi n. 32).”

A conferma di quanto appena asseri- to, la bolla del 1059 di papa Niccolò II (1) certifica l’essistenza in Rimini del monastero dei Santi Pietro e Paolo della cui chiesa acquisirono il titolo i monaci forse ivi trasferitisi dalla loro antica sede di San Tommaso.

L’abbazia godeva, e non solo nel borgo, di vasti possedimenti che, unitamente al fatto che si erigeva lungo la consolare via Emilia, la rendevano di grande importanza, attorno alla quale non tardò a costituirsi un centro abitato a difesa del quale si rese necessaria nel XIII sec. la costruzione di una cinta muraria.

Dopo un periodo di “commende” succedutesi dalla fine del 1300 cui fu affidata la gestione dei beni dell’abbazia a persone estranee alla comunità monastica, l’abbazia passò nel 1496 ai “Canonici Regolari di S. Giorgio in Alga”, congregazione di chierici sorta a Venezia il 30 Ottobre 1404 ad opera, tra gli altri, dei nobili Lorenzo Giustiniani, Antonio Correr (futuro cardinale) e Gabriele Condulmer (futuro papa Eugenio IV), riunitisi su detta isola per seguire la regola di S. Agostino. L’assedio di Rimini del 1469 nella guerra mossa da papa Paolo II (al secolo Pietro Barbo, Venezia 23 Febbraio 1417 – Roma 26 Luglio 1471, colui che scomunicò Sigismondo Pandolfo Malatesta il 25 Dicembre 1460), alleatosi con Venezia contro Roberto Malatesta (a sua volta alleatosi con il suocero Federico da Montefeltro, Firenze ed il re di Napoli), causò gravi danni all’intera abbazia, ma i Canonici veneziani provvidero alla completa ricostruzione che si concluse nei primi anni del XVII secolo con il completamento della facciata e del convento. Nel 1584 fu effettuato un controllo dei resti mortali del Santo. Una volta ricostituito, il sarcofago che lo conteneva fu inserito nel muro absidale.

L’esondazione del Marecchia del Settembre 1587 – anno in cui fu commissionata a Paolo Veronese la pala
d’altare di seguito descritta – fu causa di allagamento del borgo S. Giuliano causando ingenti danni, come altrettanto furono quelli provocati anche dal terremoto del 1786. Nel 1668, dopo la soppressione dell’Ordine, la chiesa riacquistò il rango di abbazia e nel 1681 passò ai Cistercensi (ordine monastico fondato da Roberto di Molesmes nel 1098, propugnante la stretta osservanza della regola benedettina) che la tennero fino al Luglio 1797 quando, in seguito alla soppressione napoleonica, l’abbazia, eccettuata la chiesa che rimase “parrocchia”, fu venduta ai privati.

ARCHITETTURA

Prima del 1515 la chiesa si presenta- va a tre navate ed una cripta e, come recita nella sua “breve guida alla chiesa” lo storico P. Giorgio Pasini con pa- role di Cesare Clementini “….simile a quella effigiata nella tavola sopra la porta piccola” (cioè il polittico del 1409 di Bittino da Faenza) e come riferiscono alcuni vecchi ch’al tempo de’ nostri padri n’hanno veduto parte in piedi, adornata con molte colonne di variati marmi i quali sostenevano più navate, volti e portici, che rendevano magnificenza grande, e graziosa vista, tanto fuori nel corpo del Tempio, quanto nel luogo, detto Confessione”. A tale epoca difatti si deve la completa ricostruzione dell’abbazia, terminata nel 1553 ad opera dei canonici veneti sopra citati. Con il termine dei lavori l’edificio assunse l’attuale aspetto classico rinascimentale.

La facciata presenta un elegante timpano triangolare poggiante su quattro lesene strutturate in modo da fare apparire la parte centrale più larga. Sopra il portale ai cui lati è situata una monofora rettangolare, è stato posizionato un ulteriore frontone decorativo al di sopra del quale fa bella mostra di sè una bifora veneziana, dello stesso stile di quella esistente a sinistra, sulla facciata dell’ex monastero.

L’esile campanile in mattoni è stato eretto a sinistra della facciata, in posizione leggermente arretrata.
La chiesa è ora a navata unica, chiu- sa da un soffitto a botte in muratura anche sul presbiterio e da una cupola emisferica a copertura dell’abside. Ai lati si trovano otto cappelle incavate e divise da lesene, con altari anche seicenteschi. L’abside è arricchito da due cantorie venete in legno intagliato e dorato risalenti agli anni ‘20 del XVII secolo sul cui fronte tra due lesene è situato uno scudo con l’immagine di San Giuliano, e da un organo del 1621. Sotto l’altare maggiore si trovano le reliquie del martire.

L’ARTE

Paolo Caliari detto Paolo Veronese (2). Di un sì grande artista la nostra chiesa può vantare il possesso di un suo capolavoro del 1588 (considerata una delle sue opere più belle da Giorgio Vasari, da Eugène Müntz e da Luigi Antonio Lanzi). Si tratta di una pala d’altare intitolata “Martirio di San Giuliano”, restaurato una prima volta nell’aprile del 1785 da Giovanni Battista Calzavara il quale scoprì che il dipinto era stato effettuato con tecniche a tempera ed olio ed una seconda nel 1910 in occasione del trasferimento delle reliquie del santo sotto l’altare principale in un nuovo reliquiario costruito da Ferdinando Bascucci su disegno del pittore Mariano Mancini. L’ancona che contiene la pala, è una importante dimostrazione della qualità della carpenteria veneta seicentesca. Nel XVII secolo fu completata per accogliere i dipinti di Pasquale Ottino. Successivamente fu ripulita e riconsolidata nel 1991.

Entrando in chiesa, a sinistra vi è la cappella di San Giuliano che ospita un’altra opera notevole: il bellissimo “polittico di San Giuliano”, opera in quattordici riquadri di Bittino (o Bitino) da Faenza (3) firmata e datata 1409, commissionata dall’allora abate del monastero Simone degli Ugucci, che narra la storia di San Giuliano.

Di Pasquale Ottino – od Ottini – detto Pasqualotto (Verona, 26 Settembre 1578 – 30 Luglio 1630) sono i laterali della pala del Veronese (ca.1625) – restaurati nel 1947 – rappresentanti San Giorgio (4) e San Lorenzo Giustiniani (5). Il tabernacolo dell’altare maggiore, contiene la raffigurazione della “Cena di Emmaus” dipinta in smalto.

NOTE

(1) Papa Niccolò II, al secolo Gerard de Bourgogne [Château de Chevron circa 980 – Firenze, Luglio 1061 (il 27 secondo autori tedeschi, il 19 o il 20 secondo quelli italiani)], fu eletto il 6 Dicembre 1058.

Di lui quasi nulla si conosce prima del 9 Gennaio 1045, data in cui risulta essere vescovo a Firenze. Fu eletto papa il 6 Dicembre 1058 quale successore di papa Stefano IX in seguito e dopo diverse vicissitudini che costarono il titolo di “antipapa” prima, la scomunica e la deposizione poi a Papa Benedetto X la cui elezione fu contestata dai cardinali riformatori che, con l’aiuto di Goffredo di Lorena neo marito di Beatrice di Canossa, si riunirono in conclave a Siena il 18 Aprile ed elessero appunto Gerardo di Borgogna.

(2) Paolo Caliari detto Paolo Veronese, (Verona, 1528 – Venezia, 19 Aprile 1588) da un certo Gabriele [famiglia di origine comasca (Bissone?), scalpellino] e da Caterina del nobile Antonio Caliari. Secondo lo storico dell’arte Giovanni Carlo Federico Villa, fu il principale esponente della pittura neoclassica del XVI secolo ed assieme a Tiziano e Tinche, toretto è ritenuto uno dei tre maestri tardo-cinquecenteschi che posero le basi per la successiva pittura barocca seicentesca. Alcune loro intuizioni hanno influenzato la pittura fino al Tiepolo nel sec. XVIII.
Effettuò la sua formazione giovanile a Verona, poi nel trevigiano, ed a Mantova presso i Gonzaga. Infine nel 1555 si trasferì a Venezia ove risiedette quasi ininterrottamente fino alla morte. Nel 1566 tornò a Verona per sposare il 29 Aprile Elena Badile, figlia di G.Antonio (Verona, ca. 1518 – 1560) suo primo maestro, nella chiesetta di Santa Cecilia oggi trasformata in abitazione.

(3) Bittino (o Bitino) da Faenza (Faenza, 1357 – Rimini, tra il 1426 e 1427). Si trasferì a Rimini nel 1398 ove operò prevalentemente, oltre che in tutta la Romagna.

(4) San Giorgio (Cappadocia 275-280 circa, Nicomedia 23 Aprile 303?). Secondo quanto riportato nella “Passio Sancti Georgii” fu figlio di Geronzio e Policromia (persiano lui e cappadoce la madre). Trasferitosi in Palestina, si arruolò nell’esercito di Diocleziano distinguendosi a tal punto che giunse a far parte della guardia del corpo dell’imperatore come ufficiale, per volere dello stesso sovrano. Ricevuta un’educazione cristana, si convertì per opera della madre al cristianesimo rinunciando al suo rango. Fu quindi imprigionato e condannato alla decapitazione, secondo alcuni da Diocleziano stesso, dall’imperatore persiano Daciano, secondo altri. In vita compì diversi miracoli e conversioni, tra cui quella di Santa Alessandra, moglie di Diocleziano, poi martirizzata (forse nel 303). A lui appartiene la “Leggenda del drago” – nata pare nel periodo delle crociate – simboleggiante il trionfo del cristianesimo, quindi del bene sul male.

(5) S. Lorenzo Giustiniani (Venezia, 1 Luglio 1381 – Venezia, 8 Gennaio 1456) di Bernardo e Querina Querini, fu il primo patriarca di Venezia. Nominato vescovo di Castello da papa Eugenio IV nonostante la sua avversione, continuò a vivere austeramente. Con bolla dell’8 Ottobre 1451 papa Nicolò V lo nominò Patriarca di Venezia, titolo che mantenne fino alla morte. Venerato immediatamente come “Beato”, fu canonizzato da papa Alessandro VIII il 16 Ottobre 1690.

(Foto tratte dalla “breve guida” di P. Giorgio Pasini).

 

Ugo Mariani

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