L’importanza del “tempo sospeso”…

 L’importanza del “tempo sospeso”…

LE RESIDENZE CREATIVE PER VALORIZZARE IL TEMPO DELLA RICERCA

L’Arboreto, il Teatro Dimora di Mondaino, Fabio Biondi

Un Uomo non è solo un ammasso di ossa e carne. Un Uomo non è il lavoro che fa e non è i soldi che guadagna. Un Uomo non è un Uomo se non è capace di liberarsi dai vincoli quotidiani e non è un Uomo se rinuncia ad essere Uomo per entrare in un flusso non suo incatenato ad altri come lui, tutti uguali, tutti inermi e tutti insieme ma profondamente soli. Un Uomo non è un uomo nella maggior parte dei casi… e poi ci sono le eccezioni.

Fabio Biondi, ad esempio, è un Uomo. È Un uomo perché ha scelto di essere sé stesso ignorando la comodità di un lavoro “normale” e inseguendo l’arte che poi a sua volta ha inseguito lui. La stessa Arte con cui tutt’ora convive attanagliato da problemi da risolvere, da grane da cui districarsi, da tormenti culturali da analizzare e provare a canalizzare in progetti creativi e incredibili. Il tutto però con gli occhi pieni di luce e una pace dentro che lo fa sentire a suo agio in tutto questo trambusto perché puoi mentire a tutti tranne che a te stesso e a sé stesso Fabio non mente mai perché si ritrova in tutto quello che fa, ma cosa lo spinge?

<<Mi diverto. Non riesco ad immaginare di riuscire in qualcosa che non mi diverte e quello che faccio mi diverte molto, ancora>> Fabio Biondi.

Si comprende che Fabio ha studiato e legge, ma ci tiene a ribadire con fermezza: <<Sono autodidatta prima di tutto perché la ricerca che fai da solo è quella che ti forma maggiormente>>, poi è arrivata anche la laurea in un secondo momento, Sociologia, Spettacolo e Comunicazione. Prima però devi sentire e inseguire la voglia di imparare da ogni esperienza, che sia di teatro, che sia di televisione o di qualsiasi altra natura. Esperienze, molte, alla direzione di teatri e rassegne, esperienze alla regia, esperienze a produzioni televisive Rai come autore. Insomma, un bel bagaglio che gli ha permesso di dare un contributo importantissimo alla causa del movimento artistico contemporaneo.

L’ARBORETO…

Eravamo a fine anni ’90, nell’96 per l’esattezza e Fabio aveva appena diretto un piccolo e indipendente festival “I nomadi del cuore – Le strade del teatro” che si svolgeva tra Montegridolfo e Mondaino, una rassegna che ripensava al teatro negli spazi all’aperto. Al termine della manifestazione Fabio ricevette una chiamata dal Sindaco di Mondaino.

Cosa volevano da te, Fabio?

<<Mi chiamò il sindaco di Mondaino di allora e mi portò a vedere questo spazio: un ex Arboreto sperimentale della flora mediterranea. 9 ettari, praticamente un bosco, che ospita 6 mila piante e 110 specie arboree. Il terreno era curato dalla Guardia Forestale con la collaborazione della Facoltà di Botanica di Urbino. Sperimentavano la coesistenza di piante locali con piante da tutto il mondo; avevano trovato un ambiente naturale composito e complesso per poterlo studiare e lì trovarono, visionando le carte preparate dalla Guardia Forestale, un micro-clima perfetto fra qualità del terreno e qualità dell’aria. Successe poi che la provincia di Rimini lasciò la gestione dell’Arboreto riconsegnandola in mano al Comune che sostanzialmente non sapeva cosa farci e il Sindaco appunto mi interpellò, allora ero regista del Teatro degli Dei, e mi chiese se avessi delle idee per l’utilizzo di questo spazio, mi chiese un’idea “nuova e un po’pazza”!>>

e tu ovviamente ce l’avevi questa idea pazza..

<<Si, in quel periodo, già dal ’95 in realtà, ci stavamo interrogando sul senso del processo creativo, sul lusso di perdere tempo, dando un valore alla ricerca e alla sperimentazione e cioè “il tempo sospeso”. Prima ancora di lavorare su un’opera, qual è il tempo della ricerca? Che senso ha? Si iniziava quindi a parlare di residenze creative: luoghi dove garantire agli artisti le migliori condizioni possibili per lavorare sulla ricerca, sulla qualità della ricerca, sulla sperimentazione di nuovi linguaggi, sullo sguardo contemporaneo delle opere. E in Italia, con alcune eccezioni, non c’erano ancora questi luoghi, iniziavamo a leggere qualcosa in Europa. Questo si innescava in un’altra riflessione che facevo io allora: in Italia le esperienze più importanti, di teatro, di festival, sono nate nella provincia. A parte le capitali e le grande strutture.. il fermento lo produce da molti anni la cultura della provincia Italiana, ad esempio il festival più importante di teatro contemporaneo è a Santarcangelo. Insomma quei piccoli comuni dove hanno lavorato sul senso di limite, di margine che per anni è stato un senso di colpa..la povertà.. col passare del tempo poi, quando qualcuno si è inventato il concetto di direzione artistica, è diventato un valore aggiunto. La differenza che caratterizzava il vero senso di identità culturale di comunità. A metà degli anni 70 l’Italia ha scoperto il decentramento culturale politico, quindi una serie di energie che prima andavano solo alle grandi città, iniziano ad andare nelle provincie. E questo fa si che una serie di operatori e di artisti si spostano, scelgono di abbandonare le metropoli e iniziano ad occupare, nel senso nobile del termine, la provincia italiana dandogli un valore perché lì c’era qualcosa che solo lì poteva esserci e quindi chi voleva doveva andare in quei posti li. Quindi sommando le due precedenti riflessioni quel luogo (l’Arboreto), che abbiamo molto ascoltato perché il progetto è nato anche da una frase di Margherita Zoebeli (direttrice del CEIS) “certi luoghi hanno una memoria, hanno una scrittura, occorre solo riscoprire, rimettere in circolo e dargli un identità contemporanea”, ci ha suggerito che fosse adatto per lavorare sulla ricerca, sulla sperimentazione, tutto ciò che sta dall’idea all’opera prima che l’opera diventi prodotto finito ed entri quindi nella produzione e nel commercio. In principio c’era una casa dove abitava la Guardia Forestale, non c’era ancora il teatro, utilizzavamo la rocca malatestiana come spazio scenico>>.

Avete quindi iniziato subito dopo quell’invito del sindaco, ormai più di 20’anni fa..

<<Si, tutto è iniziato ufficialmente nel ’98 perché dopo quella famosa chiamata del Sindaco, abbiamo accettato la sfida investendo tutte le nostre energie e le nostre competenze per la realizzazione di questa idea innovativa e devo dire che da subito ha avuto un respiro locale, regionale ma anche nazionale. Tant’è che oggi siamo una delle esperienze più importanti in Italia di residenza, siamo il Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna voluto dalla nostra Regione e dal MiBAC. Siamo partiti senza un soldo, il comune ci concesse solo i beni in comodato. Abbiamo capito subito che non potevamo gestire lo spazio come Teatro degli Dei e che avremmo dovuto cambiare pelle per gestire questo progetto. Fondammo quindi un’associazione culturale composta da tanti amici: operai, studenti, medici, poeti, scrittori, gente del paese e la proloco di Mondaino. Inizialmente siamo partiti come atto politico e di amicizia, poi sono nate le relazioni importanti con la Provincia di Rimini e la Regione Emilia-Romagna. L’inizio però è stato un punto fondamentale e cioè un progetto partito dall’esigenza e dal desiderio di un gruppo di persone e non qualcosa di imposto e proposto da un istituzione>>.

Cos’è la residenza? Entriamo nel vivo della vostra realtà..

<<La residenza è dove accogliamo gli artisti che vengono a Mondaino a vivere e a lavorare. Ad esempio, nel 2017 la Valdoca, nota compagnia teatrale di Cesena che risale ai primi anni ’80, ha scelto di stare tre mesi, nel Teatro Dimora e nel bosco dell’Arboreto, a riflettere e agire su un processo di creazione e produzione di una nuova opera; residenti in un luogo: un nomade si sposta e diventa residente. La residenzialità delle esperienze è necessaria anche per i progetti di formazione e trasmissione del sapere; sposta l’equilibrio sentimentale e la motivazione di scegliere di fare un laboratorio: non si condivide solo la tecnica ma anche il tempo fertile del convivio, della chiacchierata, del libro, del “chi sei, cosa fai?” L’energia del convivio è potentissima quando torni in teatro a lavorare sull’apprendimento. Se tu fai un laboratorio e la sera torni a casa, c’è il rischio evidente di disperdere quell’energia straordinaria accumulata nella concentrazione di un luogo e di ritornare a teatro il giorno dopo con i problemi delle relazioni quotidiane. Quella “frattura” è micidiale e ogni giorno devi ricomporre la magia necessaria per approfondire la conoscenza. Riepilogando, due sono principalmente le azioni che facciamo:
– le residenze creative per gli artisti, operatori di teatro, poi molta danza, scrittura drammaturgica, molti sguardi poetici anche dei critici e via dicendo;
– i progetti di formazione, progetti però non brevi ma a lungo termine, durano solitamente un anno, due anni o tre anni, non durano mai una settimana. Alziamo in questo modo la qualità della formazione. Adesso, ad esempio, con Vincent Longuemare, facciamo una Scuola permanente di illuminotecnici consapevoli. Longuemare è uno light designer che gira l’Europa e il Mondo, da anni lavora anche con Riccardo Muti e sua moglie, Cristina. È venuto a Mondaino, si è innamorato del Teatro Dimora, il teatro nel bosco, e insieme abbiamo deciso che poteva essere questo il luogo giusto realizzare questo progetto di alta formazione. La residenza è un corpo multiforme, un luogo di sguardi condivisi, un luogo di solitudine, di asilo ma anche altro. Sicuramente non è e non potrà mai essere solo uno spazio concesso agli artisti per far le prove perché non sanno dove andare. È invece una scelta reciproca: abitare un luogo di residenza presuppone un sentimento reciproco>>.

Spiegaci come si avvicinano a voi gli artisti o i promotori dei progetti di formazione e cosa o chi favorite maggiormente..

<<Ci sono varie modalità. Di solito noi esprimiamo un desiderio, costruiamo un progetto complessivo e di conseguenza contattiamo un artista, una compagnia e altre realtà correlate. Tieni conto che ogni anno riceviamo circa 200 proposte di residenza. Le leggiamo tutte con l’attenzione necessaria e se sono interessanti ne scegliamo alcune, senza fare una distinzione fra ”famosi e non famosi”. Anzi, di solito favoriamo la ricerca delle nuove generazioni che maggiormente hanno bisogno del nostro sostegno. A questo proposito abbiamo appena pubblicato una Chiamata pubblica, dal titolo, Di Nuovo ERetici per artisti under 30 della nostra regione. Speriamo di alimentare le visioni di nuovi eretici di cui, secondo noi, ne ha bisogno la cultura del nostro tempo>>.

E chi passa al vaglio i progetti che vi arrivano? C’è una commissione? Quali sono i metri di giudizio che utilizzate per la maggiore?

<<Di solito decido io con un confronto costante con i miei compagni di viaggio, che hanno scelto da tempo di affidarmi la direzione artistica. Teniamo conto di diverse questioni, comprese le estetiche e le etiche>>.

Qual è la vostra battaglia?

<<Sulle potenzialità delle residenze, intese come strumento culturale innovativo, ho lavorato per anno ad un progetto dal titolo, Nobiltà e miseria. Presente e futuro delle residenze creative in Italia. Alla fine del percorso di confronto nazionale, il MiBAC si è convinto a inserire il capitolo delle residenze fra le attività da finanziare attraverso il FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo). Una grande conquista che ci permettere ora di riconoscere dei contributi alla ricerca, in sostanza a “pagare” le residenze. Questa è stata la nostra grande battaglia, vinta. Riconosciamo ancora di più, il diritto alla ricerca, specialmente per le nuove generazioni e per loro anche il “diritto all’errore” che è una risorsa nei luoghi e nei progetti di residenza>>.

Un momento…

Questa cosa mi ha scosso e quindi voglio soffermarmi e fare qualche riflessione.
Cioè fatemi capire: un artista ospite in questa residenza creativa, immerso nel bosco più profondo dell’entroterra romagnolo, in piena pace, in totale leggerezza ed autonomia di gestione di se stesso, delle proprie emozioni, degli spazi e con la piena disponibilità di un teatro meraviglioso (ne parleremo di seguito) in cui esercitarsi e sperimentare; tutto questo e, non solo il suo soggiorno è totalmente gratuito ma questo artista percepisce, per il periodo di residenza, anche un contributo economico (contributo alla ricerca). Io lo trovo incredibile, ai limiti dell’assurdo: In fondo questo è il mondo del business, è il mondo degli sprechi, è il mondo degli interessi, è il mondo dei beni materiali e del consumismo maniacale.

Siamo difronte a una rottura totale dell’ “ecosistema sociale”, una follia nel suo senso più positivo.
Un manipolo di persone, di grandi uomini e di grandi donne, come Fabio, hanno combattuto e vinto una battaglia per liberare l’arte dalle prigioni contemporanee, una battaglia che per il momento non accenna a fermarsi.

Siamo costantemente canalizzati e costretti in una sola direzione, l’Arboreto ci insegna che si può deviare, che si può creare, che un’artista può realmente essere l’espressione creativa della propria anima.

Questa la chiamo LIBERTÀ..

Fabio ma il fine ultimo di un artista o di un gruppo di formazione che abita la residenza creativa è lo spettacolo finale? Mi spiego meglio: il percorso che si fa nei giorni di residenza è finalizzato necessariamente ad uno prova aperta al pubblico che poi va in scena nel vostro teatro?

<<Assolutamente no, non è un obbligo presentare al termine della residenza una prova aperta al pubblico. È una scelta che abbiamo sempre lasciato agli artisti. La residenza è necessaria ad un artista inizialmente per comprendere il percorso di ricerca e creazione che poi lo porterà alla composizione e produzione di uno spettacolo finale. La bellezza e la funzionalità del Teatro Dimora fanno sì che tutti gli artisti ci chiedano di presentare la “prova aperta” al pubblico; un pubblico che negli anni è cresciuto molto ed è diventato il nostro tratto distintivo, per quantità e, se posso dirlo, anche qualità della partecipazione: un pubblico straordinario>>.

E cos’ha di diverso e di straordinario il pubblico delle residenze?

<<Il pubblico delle residenze è un pubblico bellissimo perché non è l’abbonato classico che va a vedere uno spettacolo ma sceglie di condividere processi di creazione, anche processi fuori formato e a volte “sbagliati”; sceglie di stare dentro ad una condivisione di un processo aperto quindi sa anche che può vedere una cosa “brutta” o assistere o partecipare ad una semplice chiacchierata>>.

Ora voglio sapere di quel teatro. Quella “cosa” che poi un teatro non sembra nemmeno. Quel tempio così ricercato nei dettagli, nei materiali e nel concetto architettonico così inusuale. Parlacene Fabio, solo tu puoi farlo..

<<Il teatro lo abbiamo costruito in un solo anno, dal 2003 al 2004, quasi per gioco, o per necessità. A volte dico più per gioco perché è nato da una domanda, provocazione al Sindaco, al quale dissi un giorno, all’improvviso, “costruiamo un teatro?”. La Rocca Malatestiana che abbiamo utilizzato per anni come spazio teatrale, non era più in grado di ospitare le nostre attività e soprattutto i desideri degli artisti di presentare le prove aperte. Il Sindaco ha accettato la nostra (nuova) sfida e insieme siamo andati in Provincia e in Regione. In pochi mesi siamo riusciti a “portare a casa un nuovo teatro”, costato meno di 800mila €. La costruzione del Teatro Dimora, nato sull’esigenza del nostro progetto artistico, ha migliorato le nostre possibilità e ora ci consente di essere una struttura di residenza molto importante per il sistema del teatro in Italia e all’estero, funzionale alle esigenze degli artisti e dei vari professionisti che ospitiamo tutto l’anno.

Il teatro nel bosco, così lo chiamano i bambini e i ragazzi delle scuole elementari e medie, è perfettamente armonizzato nel contesto ambientale e naturale: una “foglia” adagiata sul prato che ha preso consitenza ed è diventata “grande”. E’ un teatro che ha 10 porte finestre e quindi mentre lavori vedi le piante, il bosco attorno al Teatro Dimora, la luce naturale che entra dentro, dentro le scene del teatro. È alto 9.5m ed è grande 23 metri x 12. E’ stato costruito su nostro progetto e quindi, come dicevo prima, ha tutto ciò di cui abbiamo bisogno per permettere agli artisti cdi lavorare bene e con assoluta serenità. Per il pubblico, c’è una tribuna telescopica che si apre e si chiude in pochi minuti. Ma l’aspetto più importante, fra i tanti, è l’acustica. Abbiamo lavorato su uno degli aspetti fondamentali degli spazi scenici, per gli artisti e per il pubblico. Il Teatro Dimora sa ascoltare molto bene le voci degli artisti>>.

Ci saluta Fabio, deve andare a discutere di un progetto “creativo”, un altro, tanto per cambiare. Se è vero che le province romagnole e in particolare quella di Rimini sono un vero e proprio fulcro dell’arte contemporanea europea, e ne è manifesto il festival di Santarcangelo, di certo lo dobbiamo a realtà come l’Arboreto che concentrano tutte le proprie energie per favorire le migliori condizioni atte alla creazione di opere libere, senza contaminazioni di sorta. E’ un Uomo Fabio Biondi vi dicevo..e ora sapete perché..

 

Peroz

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