MARCO MISSIROLI E I LUOGHI PRIVATI DELLE SUE PAROLE. Storia e storie di uno scrittore riminese

Marco Missiroli, Rimini, 1981. Marco è un giovane ragazzo e un giovane scrittore, nato e cresciuto a Rimini e trapiantato una decina di anni fa a Milano. Personalmente ho conosciuto prima i suoi romanzi, di cui mi sono innamorata, poi il suo nome, e solo alla fine, pochissimi mesi fa, le sue origini: questa città.
Come non intervistarlo immediatamente con Riminiamo?
Quindi eccoci.
Marco è oggi uno scrittore affermato e tradotto in più paesi, ma questo non è legato alla sua formazione. Marco ha frequentato alcuni corsi di scrittura prima che la sua carriera decollasse, ma mi spiega che non sono stati quelli a far partorire i primi lavori.
Mi hai detto che ilpercorso accademico non è stato decisivo per quanto riguarda la nascita del Marco scrittore, allora quando hai capito che la scrittura sarebbe stata la tua strada?
Gli insegnamenti li ho utilizzati e ovviamente sono serviti, ma no, non sono stati decisivi per i miei lavori e per il mio aspetto professionale. Diciamo che il mio essere solitario, la solitudine stessa ha portato una raccolta emotiva che si è trasformata neimiei romanzi.
E’ chiaro che Marco ha sempre avuto il seme della scrittura dentro di sé. Come mi racconta ha iniziato a leggere tardi, una voltaraggiuntaunacertamaturità (questa è la prova del “meglio tardi che mai”), e penso che anche se lì per lì i corsi non siano stati decisivi, questi abbiano annaffiato quel seme che una mattina è germogliato:
“La prima cosa che ho scritto è stato il mio primo romanzo. 23 novembre2001(il fatto che ricordi perfettamente la data ci fa capire quanto per lui sia stata folgorante e importante quella mattina), mi sono svegliato e mi sono messo a scrivere. Un fulmine d’ispirazione.”
Senza coda (Fanucci, Roma 2005) l’ha iniziato di mattina, nove mesi dopo l’ha terminato.Nove mesi. Un figlio. Il primo figlio. Una gravidanza fatta di ritmi meticolosi, attenzioni, controlli, correzioni. Il suo primo lavoro è stato anche il suo esordio.
Anche per il suo ultimo lavoro è successo qualcosa del genere, qualcosa di travolgente…
Quindi Atti osceni in luogo privato (Feltrinelli, 2015) non è stato il primo caso di “fulmine d’ispirazione”.
“No, aspetta. Con Atti osceni in luogo privato sono stato tipo impossessato dal demonio (ride), quella è stata una parentesi. Io che faccio tutto in maniera molto pensata, Atti osceni è stata l’eccezione. Scrivevo venti pagine al giorno, ho dovuto chiedere un part-time al lavoro per dedicare più tempo a quello. Ci sono poi voluti comunque due anni di revisione, ma è stata davvero una cosa travolgente.”
Ti sei divertito nello scriverlo?
Moltissimo! Purtroppo o per fortuna adesso è quello il mio metro di paragone. Sai, ora vorrei che fosse sempre così, in realtà cambi insieme ad ogni libro, e ogni lavoro porta fuori una parte nuova di te.
Il tuo essere molto metodico in cosa consiste di preciso?
Dal momento in cui scelgo quale idea portare su carta – cosa davvero tanto difficile – scrivo una pagina al giorno, ogni giorno, fino a quando non arrivo alla fine del lavoro. Stop.
Mi spiegha che nel momento in cui inizia una cosa, la finisce, cosa che personalmente trovo molto difficile e assolutamente positiva. Un’altra cosa che fa Marco è collaborare con il Corriere della Sera, ed oltre a questo è caporedattore di Riza, rivista di psicologia.
Trovo molto curiosa la facenda Riza, da dove nasce questo interesse?
Per me è diventata quasi un’esigenza, è un interesse di mantenimento. La psicologia mi aiuta a mantenere i piedi ben saldi al terreno, cosa sempre molto utile. Tutti si stupiscono quando scoprono questa cosa.
C’è da dire poi che i tuoi personaggi sono belli tosti, a quali sei più legato? Li costruisci su qualche base psicologica?
Assolutamente no, diventerebbero finti. Mi accorgo solo dopo averli fatti nascere che hanno certe caratteristiche, ma arrivano in maniera naturale. Sono molto affezionato a Miss Betty, di Bianco (a Miss Betty mi ci sono affezionata pure io, una gran donna, nera, testarda e coraggiosa, con la voglia di ballare di una ragazzina), a Poppi di Il senso dell’elefante e al papà di Libero in Atti osceni, ovviamente.
Rimini è la città di Marco, o per lo meno lo è stata fino a undici anni fa, fino a quando si è trasferito a Milano (che si sente glielo dico solo a fine chiamata). Da riminese adottiva penso che questa città abbia una marcia in più rispetto a molte altre. E’ frizzante e stimolante, è accogliente sia per quanto riguarda le persone, sia per quanto riguarda le idee e i progetti. E’ piccola ma veloce, in tutto. Mio nipote di sei anni direbbe “Elegante come una berlina, scattante come un go kart”, ecco, Rimini è esattamente questo e lo dico anche a Marco.
Che rapporto hai con Rimini?
VISCERALE (mi risponde di petto), meraviglioso. Ci torno ogni volta che posso, e la amo. Penso che solo a Rimini possano nascere certe cose. Milano l’ho vissuta in maniera diversa, è una città difficile e violenta e inizialmente non l’ho presa bene. Dopo i primi tre anni ho trovato una mia forma, e ora adoro anche lei. In Il senso dell’elefante c’è un parallelismo tra queste due città oggi mie, la storia si divide tra Rimini e Milano, ma come dico sempre, il romanzo interamente su Rimini arriverà.
I tuoi lavori Marco hanno sempre un forte impatto morale, speri con le tue parole di cambiare qualcosa?
La morale e l’etica sono sempre stati aspetti per me molto importanti, li ho chiaramente inseriti in tutti i miei lavori, dal Ku Klux Klan e quindi la minaccia del “diverso”, alla mafia, al tradimento ma non solo… Anche in Atti osceni la madre è la parte morale, interpreta la libertà.
Quando mi sono trovata per la prima volta davanti ad un romanzo di Marco, un bel po’ di tempo fa, mi sono anche trovata costretta a scegliere. I libri non erano tutti suoi ma dovevo acqustarne solo uno. Sfogliando le prime pagine mi sono accorta immediatamente che nel suo c’era una caratteristica che attira sempre molto la mia attenzione: l’uso della parola.
Marco, nel giro di mezza pagina mi sono subito accorta che l’utilizzo che fai tu della parola, degli spazi, della punteggiatura, è molto particolare e attento… Mi sembra che tutto sia scelto e pensato, è così o è solo l’impressione di una fanatica?
Sono assolutamente maniacale per quanto riguarda questo aspetto. Faccio almeno 10-15 stesure, scelgo con cura ogni parola, e soloquandovedol’interapagina ben ferma mi sento soddisfatto. Quello che voglio fare è mettermi in contatto con il lettore, il modo che ho per farlo passa attraverso le parole che scelgo.
Mi preparo a fargli le ultime due domande, perché, anche se alcune le avrò sicuramente dimenticate e altre rileggendole mi sono sembrate stupide e le ho scartate, è l’ora di pranzo per entrambi.
Marco, un tuo sogno nel cassetto non ancora aperto o uno messo nel cassetto da poco.
Condurre una vita da scrittore e niente altro. Fare lo scrittore a tempo pieno, passare qualche mese in un posto, poi qualche altro mese in un altro. Non per molto tempo, per un anno. Rimango comunque una persona abitudinaria.
Che ragazzino eri? Che adolescente ha conosciuto Rimini?
Introverso. Introverso e timido all’esterno, fuori di casa, estroverso, simpatico e divertente in casa. Questo ripensandoci significa che facevo fatica ad esprimermi, a far vedere quello che in realtà contenevo.
Penso che sia normale.
Scrivere è un’arte. Dipingere, suonare, cantare, fotografare… L’atto della creazione è sempre e comunque arte, e l’arte nasce dalla sofferenza, dal dialogo (spesso disagio) interiore.
E se l’arte che creiamo è il nostro specchio, io quello di Marco ve lo consiglio di cuore.
Grazie Marco, sei stato carinissimo. Spero di vederti presto a Rimini e spero di leggere presto di lei nelle tue pagine.