Marco… un angelo con il camice

 Marco… un angelo con il camice

Marco è un caro amico.

In questo momento di emergenza globale potrei anche tentare di definirlo un amico “speciale”, ma lo conosco bene e so che non amerebbe quest’appellativo.

Marco è un medico e lavora come gastroenterologo all’Ospedale di Rimini. L’altra sera ho deciso di chiamarlo, come sovente accade, per sentire come stava e da quella telefonata ne è nata una chiacchierata in amicizia che voglio provare a raccontare qui.

Come stai Marco?
Fortunatamente bene Joseph, ovviamente un po’ provato dalla situazione ma bene.

Come procede in ospedale?
Che dire. La nota positiva indubbiamente è che il numero dei contagi si sta riducendo nelle ultime settimane, merito sicuramente delle importanti misure di contenimento messe in atto.

Siamo arrivati a un punto cruciale di questa emergenza, dove, a mio avviso, è molto importante non abbassare la guardia e continuare, con grande sacrificio di tutti, a mantenere tutti quei presidi di sicurezza attivi per limitare il più possibile nuove impennate di contagi.

Il dramma nel dramma è che non è concesso ai parenti e agli amici di far visita ai pazienti ricoverati. Umanamente parlando come affrontate in ospedale questa condizione?
Hai detto bene. Il dramma nel dramma.

Purtroppo tutti i pazienti affetti da Covid-19 devono restare isolati. E costatare che nei casi con gli epiloghi più drammatici, non sia possibile concedere ai familiari nemmeno un ultimo saluto ai i propri cari è una condizione molto dolorosa cui non riesco ad abituarmi. Credimi, non voglio nemmeno immaginare come possano sentirsi i parenti e gli amici delle persone che ci hanno lasciato.

Struggente. Davvero struggente.

Alcuni tuoi colleghi medici hanno sostenuto che questa emergenza è stata sopravvalutata.
Al contrario Joseph, è stata assolutamente sottovalutata!

A gennaio, ascoltavamo le notizie ai telegiornali di questa nuova forma virale che fa parte della famiglia dei Coronavirus che aveva colpito la città di Wuhan ,e tutti, ingenuamente, abbiamo pensato che l’oriente fosse lontanissimo dalla nostra realtà e dalle nostre vite.

Ma tant’è.

A tuo avviso quando cominceremo a vedere un miglioramento della situazione?
Purtroppo bisogna essere realisti amico mio. Questa è una situazione di emergenza cui nonostante tutte le esercitazioni, nonostante tutte le precauzioni, ci ha colti in parte impreparati. Le nostre vite sono state stravolte. Quelle di tutti intendo. Questo dannato virus ha segnato un profondo solco nelle nostre coscienze e nelle nostre abitudini.

Non posso sapere con esattezza quando rientreremo da questa emergenza, posso però consigliare di avere pazienza e di “imparare” a convivere con questo pericolo. Solo il vaccino, quando finalmente sarà disponibile, potrà davvero segnare un progressivo rientro globale dell’emergenza e permettere a tutti di tornare in libertà, alle proprie abitudini di sempre.

 

Qual è la tua più grande paura in questo momento Marco?
Da medico, posso dirti che il non sapere a cosa si può andare incontro nel momento in cui si viene contagiati da questo virus mi spaventa molto. Abbiamo osservato in questo periodo che le complicanze che possono scaturire sono molteplici e tutte estremamente pericolose: polmoniti interstiziali, trombo embolie polmonari, emorragie a carico di vari organi, sintomi gastro-intestinali molto invalidanti.

Ecco, questo mi spaventa molto.

Fortunatamente lavoro in un’Azienda Sanitaria che ha messo tutti noi operatori nella miglior condizione possibile per poter operare. L’attenzione anche ai minimi dettagli è massima. Ma la paura certo rimane. Quando ti trovi di fronte un nemico invisibile a occhio nudo, purtroppo, ogni precauzione possibile non è mai assoluta al 100%.

Pensa, per assurdo una delle cose che mi ferisce maggiormente è il non poter donare anche il mio lato umano ai pazienti. Un semplice abbraccio, una stretta di mano.

Qualcuno, forse più saggio di me, un giorno disse: “Quando curi una malattia, puoi vincere o perdere. Quando ti prendi cura di una persona, vinci sempre”.

L’opinione pubblica vi acclama come eroi.

Su questo punto Joseph mi permetto di non essere d’accordo.

Noi medici stiamo solo facendo il nostro mestiere. Quando abbiamo indossato il camice per la prima volta, sapevamo, ognuno di noi, che nell’arco di un’intera vita, professionalmente parlando, sarebbe potuto capitare di far fronte a un’emergenza “straordinaria”. In passato abbiamo fatto fronte a conflitti mondiali, terremoti, uragani, infezioni di vario genere.

Questo virus fa paura. Tanta paura, è vero.

Ma noi stiamo solo tenendo fede a quel giuramento che abbiamo impresso prima ancora che sul nostro camice, nella nostra coscienza.

Non mi sento eroe Joseph. Ti dico davvero.

Al contrario penso che se ci sono dei veri “eroi” in questa vicenda, questi eroi indossano divise diverse dalla mia. Mi riferisco a tutti gli infermieri, a tutti gli operatori socio sanitari, agli addetti alle pulizie e alla sanificazione degli ambienti. Ecco, loro sì, mi sento di considerarli eroi.

Tolto il camice, come affronti la quotidianità con la tua famiglia?

Pare assurdo ma da quando è scoppiata l’emergenza a oggi, il mio lavoro di gastroenterologo si è modificato rispetto a ciò cui sono abituato. Fino a un paio di settimane fa, la mia Unità Operativa garantiva le sole urgenze indifferibili, programmando a tempi migliori tutto ciò che non aveva carattere di emergenza.

Perciò paradossalmente, ho avuto qualche ora in più da passare in famiglia. Aiutare i miei figli a fare i compiti tutti i giorni, poter giocare con loro e vederli crescere è il dono più prezioso che questo dannato virus e questa situazione mi ha concesso.

La telefonata quella sera andò avanti ancora un po’.

I temi si ammorbidirono e finimmo per ridere nel ricordare momenti di estrema serenità passati insieme.

Mi piace pensare che quei momenti torneranno presto.

E mentre ringrazio Marco e tutti gli Operatori Sanitari coinvolti in questa “guerra”, con gli occhi e il cuore colmi di ciò che fu, attendo che passi la tempesta.

Mi capita spesso in questi giorni di ricordare un antico mantra che recita: “i cani abbaiano, ma la carovana passa”.

Supereremo anche questa dura prova.

Grazie al Dott. Marco Di Marco – Medico Gastroenterologo Ospedale Infermi di Rimini

 

di Joseph Nenci

 

 

Riminiamo

Altri post