Rimini Alma Mater, una vita da studente

 Rimini Alma Mater, una vita da studente

Ogni persona ha una storia da raccontare. Questa è la mia. O forse dovrei dire la nostra. Essere uno studente fuorisede significa tante cose, non solo studiare in un luogo che non conosci, distante da casa, ma anche abbandonare abitudini e comodità, creare una propria indipendenza, faticare e accorgersi di diventare grandi.

Essere fuorisede a Rimini, poi, è un’altra storia. A Rimini, sin dal primo giorno, tutto mi è sembrato grande, non perché non avessi mai visto una città ma perché io ero grande e grande era la mia determinazione, la mia scelta, la mia convinzione a crescere.

 

Quanto ho avuto paura? Tanto.

Dei primi giorni ricordo la sensazione di smarrimento, come se ci fosse così tanta voglia di vivere dentro di me ancora inespressa, che faceva fatica a uscire, frenata dalla novità. Da buona cittadina sul confine svizzero ho ereditato una sorta di maledizione della puntualità e precisione, che negli anni a Rimini ho abbastanza perso, guai dirlo a mamma e papà però. Così se le lezioni iniziano il 12 settembre, è d’obbligo essere in città l’11 settembre.

Scoprì solo successivamente che le lezioni dei precorsi erano decisamente inutili. Mi trovai io, qualche studente preciso come me e il resto della città ancora in modalità estiva. Mi ricordo ancora l’aria che si respirava, strana per me che vengo dal lago, dalle montagne, dove l’estate finisce già a metà agosto quando i brividi ti obbligano a rindossare il “giacchino”.

A Rimini ho imparato che il cambio dell’armadio si inizia a fare a novembre. A settembre ancora si corre in spiaggia dopo la scuola, dopo il lavoro, prima della palestra o semplicemente quando si ha voglia di abbracciare il mare che come un amico d’infanzia ti aspetta sempre al solito posto.

Da quel primo giorno, sapete quante cose sono cambiate? Quanti ostacoli ho superato? Quante volte sono caduta? Quante volte mi è mancata casa? Quante volte mi sono sentita appartenere a questa città?

Rimini è straordinariamente complessa e penso di non essere riuscita completamente a capirla nemmeno in questi tre anni vissuti qui. Come tutte le donne è complicata, capricciosa, fa soffrire, ma difficilmente ti scorderai di lei.

Non ci rendiamo conto realmente di quanto la vita sia inaspettata. Come le cose capitino e non ci rendiamo conto di che portata hanno nella nostra vita. Viviamo emozioni, situazioni e nel momento stesso in cui lo facciamo non pensiamo a che conseguenze porteranno nella nostra vita e forse mai ce ne accorgeremo, fino a quando, per sbaglio, come lampo a ciel sereno, ci pensiamo. La chiamano memoria dei sensi, quella in cui olfatto o vista ci rievocano il passato. Ed io chiamerei memoria delle sensazioni quando la nostra mente ricorda qualcosa di così specifico perché ci è rimasto impresso, sentiamo ancora i brividi sulla pelle ed è come se fossimo risucchiati dal ricordo.

Così, ancora sento le prime lacrime calde cadermi a cascata sul viso, la prima volta che la mia mamma chiuse la porta di casa a Rimini, spesso nei primi tempi mi son sentita così vuota. Avevo di fronte a me un foglio bianco, una nuova vita da scrivere. È difficile spiegare il primo anno da fuorisede a Rimini, da un lato avevo una città da conoscere, nuove compagnie, nuovi pensieri cui dovevo dedicare tempo e passione. Dall’altro mie abitudini, i miei impegni cui non avevo ancora rinunciato.

Fu complicato, mi sembrò per molto tempo di tenere due piedi in una scarpa, di non riuscire a dare e fare quanto volevo in nessuna delle due situazioni, il tempo che dedicavo a uno pensavo di toglierlo all’altro. C’è un tempo dedicato all’assestamento, come quando un terremoto porta sconvolgimento e tutto cambia, ci saranno piccole scosse successive e pian piano ciò che è stato spostato prende un nuovo posto.

In realtà ho scoperto non tanto facilmente e non subito che la bambina che è in me non mi abbandonerà mai, ci sarà sempre quella mancanza di casa, ci sarà sempre la paura e rimarrò sempre spaesata. L’unica cosa che cambia è chi è al mio fianco. Così come il tempo evolve, così accade anche alla vita di ognuno, tante porte si apriranno, tante si socchiuderanno, alcune si chiuderanno e si sentirà anche il tonfo o arriveranno direttamente sui denti, altre saranno chiuse a chiave per la propria spontanea volontà. L’importante è camminare sempre avanti. In questi tre anni, ci sono stati momenti che come epifanie mi hanno fatto sentire nel posto giusto e nel momento giusto, mi sono resa conto di quanto mi sentissi piena di vita di come chi avevo al mio fianco, era diventata una seconda famiglia.

In università ho conosciuto così tante persone diverse, ognuno con il proprio sogno e le proprie esperienze. Tutti ci sentiamo uniti nell’essere lontano da casa con grandi ambizioni e tanta volontà nel raggiungere i nostri obiettivi.

Obiettivi che mutano, molte volte ci sentiamo frastornati da mille dubbi e sacrifici che annebbiano il nostro traguardo. I tre anni di università da fuori sede mi hanno insegnato a stringere i denti sempre più forte, a non mollare la presa anche se sono una pessimista cronica e a credere che niente finisce, ma tutto si trasforma e questa esperienza ha trasformato me e si è trasformata in una delle esperienze più profonde della mia vita. Vivere in una città come Rimini è puro divertimento e a volte sconvolgente. La prima regola che ci è stata insegnata è stata quella di dotarsi di un bolide: il mio era una bicicletta assai costosa per il mercato riminese delle biciclette, questo l’ho scoperto negli anni ovviamente, come negli anni ho scoperto come sia molto semplice farmi “abboccare”. La mia bicicletta però è quella che ha resistito di più e l’ho anche rivenduta ad un buon prezzo, saluto il mio acquirente, attento ai freni! Avere la bicicletta a Rimini è d’obbligo, ovviamente c’è anche la regola di lamentarsi dei pedoni sempre in mezzo quando si sfreccia con essa ma c’è la stessa regola per quando si passeggia e come un mostro dei più bei film fantasy, ci si ritrova alle spalle una bicicletta che le sta provando tutte per incenerirti.

Insomma, regola numero due dei riminesi, lamentarsi! Non sempre, spesso. Delle avventure con le due ruote ne abbiamo molte, se dovessi contare quanti km abbiamo macinato, non avrei dita abbastanza per farlo. Ma non scorderò mai la fretta di Costanza e i francesismi di Ilaria a starle dietro. Non potrò mai dimenticare Arianna che si schianta contro i pali, una volta in bicicletta e la seconda direttamente con la testa. Non potrò scordarmi il soave rumore della bicicletta di Giulia, molto simile al passaggio di un carro di buoi con i loro campanacci. Insomma grandi sfortune, ma la fortuna più grande è stata incontrare le mie inseparabili amiche.

Il primo anno avevamo formato un bel gruppone, venivamo da diverse parti d’Italia e ogni sera era un’interessante scoperta conoscerci. Il tempo ha voluto che non tutti rimanessimo legati e chi ha cambiato facoltà, chi finito l’università e chi semplicemente si stufò della nostra compagnia ci ritrovammo in quattro. Decidemmo di cambiare casa e di andare a vivere assieme, è stato l’inizio della nostra avventura più profonda. Durante l’estate del secondo anno il giro di amici si allargò. L’università ci mise a disposizione una vasta scelta di aziende dove svolgere il tirocinio e decisi di farlo con Stefano e Giuseppe, qui, per Voce23 e Riminiamo. Durante il primo incontro, ora posso dirlo tranquillamente, mi sembravano due soggetti da serie tv, quelle inglesi, buffe che non fanno ridere.

Avrò chiamato ottomila volte per avere notizie sull’inizio del tirocinio, sul programma da seguire, insomma mi fecero abbastanza impazzire. Ma a parte tutti questi scherzi, lo scherzo del destino fu riavvicinarmi alla scrittura, a rimettere in moto la mia anima più profonda, a farla parlare tramite le parole. Per tutto questo a loro devo dire solo grazie. Grazie per le mille risate in studio, alle battute sulla mia prima intervista, alla serietà con cui Stefano diceva di aver da fare nel suo ufficio e dopo pochi secondi in tutto lo studio si infondeva musica rap, alle chiacchere sulla politica in macchina di ritorno da una rassegna stampa, agli insegnamenti di Giuseppe durante le riprese del tg web, alla richiesta di continuare a collaborare con loro, al freddo patito durante le riprese del videoclip di “Socialfake” e alla pizza in compagnia.

Vorrei ringraziarvi anche per la vostra presenza alla mia laurea, ma penso di aver pochi ricordi ben lucidi di quel giorno. Insomma, lo chiamiamo destino quello che non sappiamo spiegare, quello che ci capita e sembra che sia completamente scritto per noi, ci calza a pennello e se questo è stato il mio destino non posso dire altro se non di essere una persona fortunata. Poi è giunto il terzo anno, il mio ultimo anno di università. Forse è stato quello più intenso, più ricco di colpi di scena. L’anno che avrei voluto durasse 3650 giorni e non solo 365. Invece, è passato in fretta senza accorgermene. Mi ritrovo con una laurea, con un’esperienza, con uno scatolone in mano, in realtà molti di più di uno, una testa piena di dubbi e malinconia.

Lasciare Rimini è difficile, è come lasciare per una seconda volta casa.

È tutto un misto di emozioni. La mente è confusa da mille immagini diverse, avvenimenti, situazioni e sensazioni. Una sensazione forte. Quella di aver vissuto. Le vie, i locali, i luoghi. Ognuno racconta qualcosa, porta con sé un ricordo che ora si fa forte e chiaro e si materializza così nella mente. Non è mai stata così bella Rimini.
I tramonti, le risate, il vino, i sorrisi, le battute, le corse in bicicletta, le attese, le lunghe attese, i nervosismi, le tensioni, le serate, la compagnia e ancora una nuova alba.

Tutta questa energia che mi hai dato, Rimini, si trasformerà in luce che illuminerà la mia strada e in ogni momento della mia giornata basterà guardare in alto, verso il cielo, testimone costante e basterà ricordare e sarà come essere lì, perché tanto siamo tutti sotto lo stesso cielo.

E il mio cuore non saprà dimenticarti, mai.

 

Ilaria Ferrari

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