TRE VOLTI E UN’UNICA PASSIONE: LA MUSICA. Sorrisi e complicità ricordando gli anni migliori de La Mecca e del Velvet

 TRE VOLTI E UN’UNICA PASSIONE: LA MUSICA. Sorrisi e complicità ricordando gli anni migliori de La Mecca e del Velvet

Velvet_Subsonica_12febbraio16 Foto Isabella Monti

Non è facile distinguersi al giorno d’oggi in un panorama mutevole e vasto come quello musicale. Le tendenze mutano e con loro le persone. Per chi vive attraverso generazioni diverse non è sempre facile accettare progressi e cambiamenti.

Eppure siamo di fronte a delle persone che non hanno mai abbandonato il loro ideale. Nonostante gli impegni di una vita da costruire, gli ostacoli e il tempo tiranno, possiamo trovare di tanto in tanto gente che crede fermamente in qualcosa di astratto, in un’idea, in un sentimento. Perché la musica alla fine non vive nei cd, nella console, nelle casse. Sta nelle mani al cielo di chi balla, nel gioco di luci sulla pista, nella curva del sorriso dei DJ.

Proprio grazie alla memoria del cuore dei DJ abbiamo rispolverato i ricordi come la Mecca ed il Velvet. Rimini viene spesso definita una “discoteca a cielo aperto”, ma certi luoghi lasciano il segno più di altri, con le loro storie e la nota di malinconia che le accompagna. DJ Meo e DJ Ghigo non cedono certo alla tristezza, né si nascondono dietro i ricordi, bensì ci portano a fare un giro nel panorama musicale tra gli anni ’80 e 2000.

Meo si avvia a celebrare 40 anni di carriera (iniziò nel 1976 in collaborazione con la radio), ma la grinta sembra non aver risentito degli anni passati e ci sorprende lanciandosi subito in un frizzante “remember” della Mecca. Il DJ apre le danzenominando DJ Peri in quanto figura fondamentale all’inaugurazione della Mecca nel luglio 1981. Seguono poi i nomi di DJ Mozart, Rubens e Spranga, compagno di DJ Meo nell’apertura del Chicago a Bologna.

Qual era la tendenza musicale dei primi anni?


Meo: L’avventura della Mecca inizia col proprietario Andrea Brighenti. DJ Peri ha dato un’impronta sua alla musica della Mecca: allora tutti la chiamavano Afro, ma in realtà suonavamo di tutto, inclusi pezzi elettronici, ma non commerciali. Il pubblico si divideva tra noi e il Cocco. La Mecca organizzava serate qualche volta al mese, non tutti i sabati. Verso la fine degli anni ’80 c’è stata una svolta con l’arrivo della musica Tecno e House e molti hanno preso quella via lì.

Raccontateci un po’ delle vostre avventure da DJ.


Meo: Avevamo una gran fortuna ad avere i negozi di dischi lì vicino, però bisognava conoscerli. Per questo stavamo ore intere dentro i negozi ad ascoltare dischi. Io sono cresciuto a pane e musica e ho sviluppato un certo orecchio. Quando ho capito di poter suonare quelle musiche in discoteca è stato un regalo. Avevo fatto un disco che si chiamava “Night in riviera” e c’era dentro di tutto: dall’afro, all’elettronica al drum ‘n’ bass. Parlava del “BULIRON” con espressioni tipicamente romagnole e nonostante il pubblico venisse anche da fuori Rimini, ebbe un gran successo.

Ghigo: Io sono arrivato un po’ dopo e ho vissuto la Mecca nel periodo finale. Quando volevo ascoltare dei dischi chiamavo a Bolzano e mi facevano sentire la musica per telefono. Poi ne sceglievo alcuni e me li spedivano al lavoro. Dopo la chiusura della Mecca è iniziata l’avventura dell’Altrove nei primi anni 2000: abbiamo sperimentato la musica afro in un tempio del rock come il Velvet. Da quel momento è diventato un “contenitore musicale” pur cercando di mantenere la sua identità rock. Io non sono mai stato un grande sperimentatore, ma di certo lavorare al fianco di Meo, o di Luca F mi ha aiutato nella crescita musicale. Ho imparato molto collaborando con loro, è sempre molto stimolante lavorare in console insieme.

Meo: Adesso è cambiata la cultura musicale: ora c’è proprio lo svacco. Prima si era più propensi ad ascoltare le novità. Il bello del nostro stile era mischiare i generi: pezzi brasiliani, reggae, elettronici, ma tutto con un certo ordine. L’Afro in quanto tendenza musicale ha avuto un boom negli anni passati, poi è diventato una moda, ma le mode durano poco.

Ghigo: Esatto, ora l’Afro è più una musica di contorno. A meno che non si organizzi un evento in particolare come il “Rimini Afro Festival” in varie location durante l’estate. Ora anche il Velvet è itinerante e fa alcune serate: un sabato all’Altromondo, uno al Vision, o il Capodanno a Santarcangelo. C’è un po’ la tendenza a fare queste serate itineranti: dopo la chiusura del Velvet, sono stato contattato per organizzare il Negra in altri locali. Stessa cosa è successa con altri marchi come Retropolis o Elektrovelvet. Lucia ha cercato di distribuire le feste in diverse location per mantenere vivo il gruppo e la musica.

La chiusura di diversi locali negli ultimi anni pensate possa dipendere da questo cambio di tendenza?


Meo: Penso dipenda più da un fattore economico e burocratico.

Ghigo: Anche la concorrenza ha avuto un ruolo importante in questa situazione, soprattutto col successo delle discoteche in spiaggia.

Meo: La Mecca invece ha proprio venduto la proprietà e si pensava di costruire delle case in quella zona.

Com’è stata vissuta la chiusura di questi locali?


Ghigo:
Tutti continuano a chiedermi perché ha chiuso il Velvet.

Meo: La gente mi propone di riaprire la Mecca. Molti vivono di ricordi, ma non ci sono grandi adesioni nel caso di feste che ripropongono quelle serate. L’onda va avanti e ci sono i nostalgici.
Ghigo: Noi ci crediamo ancora. Io non l’ho mai fatto come lavoro primario, ma si continua. Se c’è interesse nel sentire ancora quella musica basta informarsi un po’ per trovarla.

Due personalità che hanno vissuto le storie di locali simbolici di Rimini come il Velvet e la Mecca hanno da insegnarci qualcosa: il mondo non si ferma e la vita prosegue, l’importante è mantenere vive le passioni e sapersi adattare al cambiamento.

Per completare il quadro non poteva mancare una chiacchierata con Lucia Chiavari, caposaldo della grande famiglia del Velvet, intenta ora a portare i vari marchi delle feste in giro per il riminese.

Raccontaci un po’ la storia del Velvet. Dove nascono le sue peculiarità ed innovazioni?
Lucia:
La particolarità del Velvet nasce grazie alle tendenze musicali scoperte in Inghilterra nei primi anni ’80 da gruppi di giovani rimasti affascinanti dalla musica dal vivo e dai gruppi rock. Fu lanciato da queste ispirazioni lo Slego, primo club rock di Rimini e della regione, dove suonarono diversi gruppi anche europei ed americani. Fu qui che la carriera di Thomas Balsamini ebbe una grande svolta e venne poi chiamato a lavorare in un locale di Renzo Travagliati (futuro socio del Velvet). Quest’ultimo gli propose in seguito di collaborare e ricercare una location per feste estive: optarono per la struttura che divenne poi il Velvet. Il locale è stato punto di riferimento per molte band anche straniere, essendo un rock club così grande e dotato di rapporti preferenziali con le agenzie. Quasi ogni sabato si organizzava un concerto mantenendo sempre il filo conduttore rock, nonostante il mutare degli scenari musicali negli anni. Come la Mecca il Velvet trasgrediva un po’ dal modello della discoteca classica e mantenne le sue caratteristiche, anche quando nacquero club simili come l’Estragon. Dobbiamo tener presente che il Velvet ha sempre avuto dei limiti strutturali, rispetto a location più ampie come quelle di Bologna, per cui il panorama dei concerti nei club si allargò ad altre realtà.

Il Velvet ha mostrato comunque di poter essere molto variegato nelle sue scelte musicali, nonostante l’impronta rock di base.
Lucia: Sì, è necessario rinnovarsi ed ampliare le scelte. Il rock è andato un po’ scemando e quindi si è deciso di proporre altre situazioni. Il Velvet è riuscito così a formare dei marchi che poi sono divenuti importanti nel loro genere. Il pubblico è stato così diviso per target, quindi magari non si veniva tutti i sabati, ma una volta al mese. Ci aspettavamo che fosse solo una condizione passeggera, un ponte in una situazione di stallo della musica rock. Al contrario la situazione si è stabilizzata.

Al momento come si prevede il futuro del Velvet?
Lucia: Non abbiamo obiettivi particolari ora come ora, se non quello di portare la musica del Velvet nelle piazze. Abbiamo già sperimentato questo tipo di esperienza grazie a situazioni come la Notte Rosa, la Molo Street Parade e il Capodanno a Santarcangelo. Per quanto riguarda il locale storico del Velvet, noi avremmo voluto rimodernarlo, ma non è stato possibile comprarlo. In ogni caso secondo me abbiamo fatto un buon passaggio con dignità e concretezza. La cosa più bella al momento della chiusura è stato capire che non era solo una discoteca e che i suoi 27 anni di storia hanno avuto un significato e hanno fatto tendenza.

Da un punto di vista emozionale come hai vissuto la chiusura del locale?
Lucia: Io da quando ho finito l’università ho sempre lavorato al Velvet, però quando una situazione diventa rigida e stretta non c’è molto da fare. Non puoi migliorarti e non puoi investire, allora diventa una ripetizione di clichés non stimolante per il pubblico. Tenendo aperto in modo forzato forse saremmo diventati una ‘balera’ ed è stato meglio chiuderla con dignità.

Foto di copertina
Velvet_Subsonica_12febbraio16
Foto IsabellaMonti

Serena Leurini

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