TUTTA COLPA DI UNO STRACCHINO! Marinella Pantani e la banda della Uno Bianca

 TUTTA COLPA DI UNO STRACCHINO! Marinella Pantani e la banda della Uno Bianca

“Era già tutto pronto, gli amici ci aspettavano sotto casa, ma io sono voluta uscire a tutti i costi, mancava lo stracchino!”

Non avevo idea di cosa avrei trovato una volta varcata quella soglia. Nei giorni che hanno preceduto l’intervista mi domandavo come sarei riuscita ad affrontare una situazione tanto delicata. Un po’ col fiato sospeso seguo Giuseppe, il nostro direttore commerciale, che mi porta a conoscere questa donna, che lavora come formatrice presso la CNA. Entro in punta di piedi nel suo ufficio, e quello che mi si spalanca davanti non è altro che un sorriso raggiante incorniciato da una camicetta azzurra e occhi sognanti.

Che giorno era?
Era un sabato sera del Gennaio 1989, circa le 17.30.
Avevamo amici a casa per cena e la tavola era già tutta apparecchiata, pronta per ricevere gli ospiti. La sola cosa che mi mancava era lo stracchino. Mi sono messa un giubbotto di pelle, che avevo lavato e mi si era indurito, una collana a catena grossa d’oro che non avevo mai messo. Non so perché poi, noi che abitiamo a Bellariva, sono voluta arrivare, con mio marito, fino alla Coop delle Celle solo per prendere quel singolo ingrediente.

Resto in attesa, un po’ col fiato sospeso. La osservo e mentre parla il suo sorriso non accenna a calare.

Arrivati davanti alla Coop, incontriamo una coppia con cui eravamo usciti la sera prima, con le loro due splendide figlie, una di 4 anni, l’altra di 6/7anni. Ci mettiamo a chiacchierare di quanto sia stata piacevole la serata appena passata insieme. Essendo il periodo di carnevale, non ho fatto molto caso agli scoppiettii che sentivo alle mie spalle e al bruciore che potevo sentire alla schiena, non so perché ma non ho collegato le due cose, fino a quando non ho sentito mio marito urlare di buttarci a terra, che ci stavano sparando.

Qui il sorriso cede a tratti, si porta una mano al petto e mi chiede scusa. Gli occhi lucidi tremano assieme alla sua voce e io faccio fatica a non cedere. Non sono una molto forte.

Mi dice che non ha mai raccontato a nessuno la vicenda, anche subito dopo non ha mai rilasciato interviste, non ne ha mai voluto più parlare. Guarda Giuseppe e gli spiega che per la profonda amicizia che li lega, ha accettato la nostra intervista.

Cosa hai pensato in quel momento?
Che ero morta.
Giro lo sguardo e il Vigilante era disteso a terra per questo ho pensato che avrei fatto la stessa fine.
La bimba piccola era rimasta sul carrello, ma nessuno si poteva muovere per andarla a prendere. Un uomo dall’alto dal parcheggio sopra la Coop, ci urla di rimanere a terra, e urla contro gli uomini che si stavano dirigendo contro di noi.
Vedo i loro visi coperti dal passa montagna nero, quegli occhi non li scorderò mai. Avevano le pistole inclinate sopra di noi, credo che la loro intenzione era proprio quella di ammazzarci.
Non appena si allontanano, arranchiamo a terra lungo la salita che porta all’ingresso della Coop. La cosa che non mi scorderò mai è stata la reazione del direttore , il quale quando ci ha visti insanguinati con le bimbe terrorizzate e in pericolo contro le sue porte scorrevoli, invece che aiutarci ad entrare, ha ritenuto di chiudere le porte di entrata, ma fortunatamente una cassiera, che non finirò mai di ringraziare è riuscita a spostarlo e ad aprirci per metterci in salvo.

Mi dice con lo sguardo duro, che non perdonerà mai quelli della Uno Bianca per la morte del giovane Vigilante, una morte inutile dal momento che la sola cosa che hanno trovato dentro il pacchetto, non sono stati soldi ma assegni. Inoltre non le sarebbe dispiaciuto ricevere una lettera di scuse dal direttore della Coop, un qualcosa che potesse giustificare quel folle gesto. Ma non ha mai ottenuto nulla.

Quali sono state le conseguenze immediate?
Fortunatamente a mio marito lo hanno colpito di striscio a una spalla, e alla mia amica, grazie al fatto che era più bassa di me le hanno portato via con un colpo di fucile, un po’ di pelle e capelli sulla nuca. Alla bimba grande le hanno dovuto togliere un proiettile che dall’orecchio le era arrivato nella cavità orbitale dell’occhio, mentre la piccola non è stata miracolosamente toccata. Quando mi hanno messo sull’ambulanza nella barella, ho sentito non so quanti tintinnii cadere dalla mia schiena. Ero stata colpita con i piombini di ferro, mi avevano ridotto la schiena piena di buchi, da non riuscirli a contare. Ancora qualcuno l’ho dentro, perché vicino a dei punti che non è possibile andare a toccare.
Avevo letteralmente le palle degli occhi uscite dal terrore, tanto che pensavano fossi sotto shock tiroideo, ma fortunatamente il mio dottore è stato pronto a riferire che non avevo nessun problema alla tiroide, ma che si trattava di una reazione del corpo al forte shock.

Hai avuto una sorta di appoggio, risarcimento? Un aiuto per superare quello che ti è accaduto?
Sì , lo stato italiano mi ha riconosciuta “ come vittima del terrorismo “ e ho ricevuto delle agevolazioni.

Cosa è cambiato nella tua vita?
La cosa che non riesco più a fare è andare nei luoghi molto affollati. Come le banche, ci ho provato all’inizio, ma quando entravo mi assaliva il panico.
Sono cose che ti porti dietro per il resto della vita.
Ma ho imparato a reagire.
A non piangermi addosso.
A godere della vita.
A stare bene con me stessa.
A leggere i segnali. Perche anche se molti possono non credere in queste cose, quella sera ho sottovalutato un avvertimento.
Mentre guidavo per recarmi alla Coop, mi compare per un frazione di secondo, mio cugino che era venuto a mancare poco prima di quella sera, a cui ero davvero molto legata.
Con la testa davanti alla mia mi dice di NO! Un no secco. E poi va via.
Come anche il fatto di come mi ero vestita per andare a prendere una cosa così banale, e del perché mi fossi recata così lontano da dove abitavo io.
Quel giubbotto indurito dall’acqua mi ha salvato la vita, e quella collana d’oro a catena grossa che non avevo mai indossato, ha impedito a una pallottola di conficcarsi nella spina dorsale dietro al collo.

Le dico che io ci credo, e le chiedo se rimpiange di essersi trovata in quella situazione.

Credo che se oggi, sono quella che sono, il merito sia di quello che ho passato.
Ho imparato che non serve a nulla piangersi addosso. Non serve fare le vittime, le cose brutte accadono, ma anche quelle belle. E’ solo il modo in cui si decide di reagire agli avvenimenti che può cambiare il modo di vedere le cose, e il tuo avvenire.

Penso che essere positivi, aiuti a superare ogni cosa. Per questo il sorriso e i grazie non dovrebbero mai mancare come l’altruismo, la considero una delle doti più importanti che ci aiuta a vivere.

Come scrivevo all’inizio, la prima cosa che mi ha colpito di Marinella, è stato proprio il suo sorriso. Pensavo di dover scrivere un’intervista di quelle che se portate in tv, la descriverebbero come la tv del dolore. E invece qui è stato proprio il contrario.

Mi lascia con la sua immagine preferita, di lei immersa nel blu, attorniata da piccoli pesci colorati.

Ringrazio di cuore Marinella, la forza che mi ha trasmesso, il suo sorriso e l’insegnamento celato tra le sue parole.

 

 

Lisa Bifulco

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