UNA FINESTRA SULL’ITALIA. ALESSANDRIA, PIEMONTE

 UNA FINESTRA SULL’ITALIA. ALESSANDRIA, PIEMONTE

Parto raccontandovi un aneddoto: Quando avevo sedici anni partii per una vacanza-studio in Spagna ed ebbi l’opportunità di conoscere una cara Amica. I nostri sguardi subito s’incrociarono e lei venne a presentarsi dicendomi il suo nome e che veniva da Alessandria. Da quel momento mille collegamenti partirono nella mia mente, e altrettante domande, del tipo…

“Alessandria d’Egitto? eppure non ha i lineamenti egizi?
Sarà bilingue? Quante ore di volo avrà impiegato per arrivare fino a qui?”

Vedendo la mia faccia perplessa la mia amica mi spiegò che questa cittadina è in Piemonte, la terza più grande della regione. Le sue esatte parole furono “Alessandria si trova in mezzo al triangolo che ha per vertici Torino, Genova e Milano”. Avrei voluto seppellirmi! In quel momento mi sono sentita davvero un’ignorante e lei pensò bene di invitarmi a casa e mostrarmi la sua città. Il mio viaggio per Alessandria ha l’odore di caffè, Alessandria è la patria del “Marocchino” o del meglio conosciuto “espressino”. Questa bevanda nasce con l’avvento delle prime macchine a pressione e come evoluzione della tipica bevanda sabauda ottenuta dalla mescolanza di caffè, cioccolato e crema di latte.

La mia visita inizia in una sera nebbiosa di Novembre in piazza Libertà, ritrovo dei giovani alessandrini. Questa piazza è un simbolo perché fu il suolo di un vecchia cattedrale poi demolita da Napoleone; ora c’è il maggior numero di edifici storici, tra cui il Palazzo Ghilini in stile barocco, il bianco palazzo della Banca d’Italia, il Palazzo delle poste in stile “ventennio” e poi un palazzo che mi colpì subito: un antico edificio del 700, di colore Rosso, il palazzo del municipio, che mi è rimasto impresso sia per la struttura che per la particolarità dell’orologio a tre quadranti, numeri romani, fasi lunari e volta celeste. Sopra a questo palazzo vi è il galletto sottratto dagli alessandrini ai casalesi nel 1225.

La mattina successiva al mio arrivo, la mia amica mi portò in via Cavour in pieno centro storico, un lungo viale di negozi dove si scorge la sagoma longilinea del campanile del Duomo, che è il secondo più alto d’Italia. In piazzetta della lega lombarda, ex “piazzetta del grano” perché ospitava il mercato dei cereali, c’è l’obelisco che ricorda le vittime delle battaglie risorgimentali. Il mio tour continua per la Galleria Guerci, il salotto ultracentenario della città, il signorile palazzo Guasco con facciata barocca, l’arco del trionfo… Un’altra particolarità di Alessandria che mi ha conquistato è stata quella di incrociare per le vie della città, dei riferimenti alla divina commedia di Dante Alighieri; ad esempio sulla facciata di fronte all’arco del trionfo c’è un richiamo al V canto dell’inferno “Galeotto fu quel libro”, con i due amanti “Paolo e Francesca” che sanciscono il loro amore con un bacio. Tra i personaggi illustri collegati alla cittadina vi è Rattazzi che fu primo ministro d’Italia, Umberto Eco e il Borsalino fondatore della casa dei cappelli in feltro. Alessandria si chiama cosi in onore di Papa Alessandro III, e veniva chiamata “Alessandria della paglia” perché era fortificata con possenti mura fatte di paglia e fango.

Non lontano dalla città, nel borgo Marengo, c’è un grande albero conosciuto come il “Platano di Napoleone”, qualcosa di grandioso. La leggenda dice sia stato piantato da Napoleone dopo la famosa battaglia di Marengo, la battaglia che consacrò Bonaparte. Il motto della città riprodotto in latino sullo stemma è “Alessandria umilia i superbi ed esalta gli umili”.

Non ci resta che visitare questa fresca cittadina del Piemonte, comprarsi un cappello Borsalino e godersi la città in tutta la sua bellezza.

Michela Toto

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