WALK BORDERLINE. Arnaldo Boscherini: quando la vita è arte e l’arte è vita.

 WALK BORDERLINE. Arnaldo Boscherini: quando la vita è arte e l’arte è vita.

Arnaldo Boscherini davanti alla sua opera “Colors I See At Night Whem I Close My Eyes” (cm. 68×40) – 2013

Chiunque sia appassionato di arte, che sia pittura, fotografia, poesia, o chiunque si sia interessato, abbia seguito un corso o letto un libro sull’arte contemporanea, ieri, se si fosse trovato con me davanti al pc a parlare con Arnaldo Boscherini, non avrebbe chiuso un attimo la bocca dallo stupore. “Gloria, se io ti raccontassi tutto quello che ho vissuto qui, a New York, e nelle altre città in cui ho vissuto ci potresti scrivere un libro” mi dice mentre io sbircio alle sue spalle dalla webcam. L’accento è neutro, l’italiano è perfetto, è solo quando gli scappa qualche termine in inglese che sento la pronuncia altrettanto perfetta della lingua acquisita. Arnaldo parla l’italiano, l’inglese, il francese, lo spagnolo e il tedesco, e per questo motivo quasi nessuno capisce la sua provenienza quando non parla l’italiano. Le influenze sono tante e probabilmente questo non riguarda solo la lingua. Arnaldo Boscherini è un artista italo-americano di origine romagnola. Nato a Santa Sofia (FC) è stato parte dell’arte contemporanea dagli anni ’70 in poi, prima in Europa e poi in America. Ha passato la sua giovinezza a Roma, si è trasferito in Germania, poi a Parigi e, da 45 anni, è stabile a New York.

La webcam si accende e sono dall’altra parte del mondo. Mi accoglie lo sguardo frizzante e la parlantina di Arnaldo e mi sento subito a mio agio. Mi accoglie anche il suo studio che è pieno fino al soffitto di dipinti impilati l’uno sull’altro. Escono dagli scaffali, da dietro ai mobili, mi confessa che tutta la casa è piena, anche il bagno, e a me sembra di stare in quel programma TV su Leonardo che ti fa entrare nell’intimità delle case dei personaggi famosi ascoltando le loro storie. Arnaldo è sempre stato un giovane irrequieto, spesso in mezzo ai casini, che all’età di 8 anni inizia con regolarità a fuggire di casa in direzione Roma. Nasce in Romagna ma è nella capitale italiana che cresce e dove crea i primi legami con l’arte povera degli anni ’60. Lo ascolto e capisco subito che quella che mi aspetta è una storia movimentata.
Sempre in cerca di stimoli, di emozioni forti, Arnaldo entra a far parte di Potere Operaio Potere Studentesco, iniziano così le occupazioni e le marce, ma ama talmente tanto la vita da non spingersi sull’orlo estremo come molti altri giovani in quegli anni. Oltre alla vita ama l’amore e l’essere innamorato, infatti le donne conquistate sono tantissime e anche quelle seguite.

Arnaldo Boscherini
davanti alla sua opera “Colors I See At Night Whem I Close My Eyes” (cm. 68×40) – 2013

A Roma entra a far parte dei Collettoni di Rita Pavone e inizia a frequentare il Piper Club (se non lo conoscete vi consiglio una sbirciatina online). Amico intimo di Loredana Bertè e Mia Martini quando ancora nessuno le conosceva, una sera si ritrova a dare un braccialetto con un bigliettino a John Lennon da parte loro, “WE LOVE YOU JOHN”, diceva (nella biografia di John Lennon è citato un ragazzo e il suo braccialetto di plastica pieno di valore, chissà…). Arnaldo, proprio perchè innamorato dell’amore, segue in Germania un’americana. Dopo la Germania, sempre per un’americana, si trasferisce a Parigi, città che gli offre ancora più conoscenze, avventure e storie. Trascorre gli anni dal 1970 al 1973 tra Italia e Francia, girando sempre in treno, finche nel ’73 l’America lo chiama definitivamente. Breve panoramica sul dove e quando: anni ’70, America, New York, Manhattan, Soho. L’occhio del ciclone. Centro del mondo artistico e non, centro di qualsiasi cosa. L’ombelico del mondo, per citare Jovanotti, l’epicentro del terremoto culturale che da lì a qualche anno avrebbe raggiunto tutto e tutti. Arte povera, performance art, minimalismo, sperimentazione, avanguardie, libertà, eccessi e tutto il resto. Anticamera del boom artistico contemporaneo.

“L’america, New York, Manhattan, Soho, il Bronx, Chelsea, era un’esplosione continua. L’epoca della libertà artistica e sessuale. Tutto bolliva, l’underground spingeva dal basso, Soho era il centro del mondo, almeno il nostro, ed era parecchio movimentato. Quando sono arrivato a New York, nel ’73,hofattoquellochequalsiasipersonafaquando arriva in un paese nuovo e sconosciuto, mi sono legato ad altri italiani immigrati. Evidentemente mi sono legato alle persone sbagliate, erano mafiosi italo-americani e da quel momento mi sono trovato coinvolto tante volte in situazioni poco sicure diciamo… Una volta mi hanno sparato.” Mandibola che cade sulla tastiera del pc. La raccolgo il più velocemente possibile con nonchalance e mi faccio ovviamente raccontare i dettagli della storia. Voi immaginatevi Carlito’s Way con Al Pacino e più o meno ci siete.

Arnaldo, tra le tante cose che gli accadono, continua a lavorare alla sua arte che si evolve, muta, salta, scopre, e nel frattempo le persone che conosce aumentano.

Artist Faces at Gallery Opening
Acrylics on Canvas cm. 132×102 – Anno 2000

“Ho camminato a lungo sul filo del rasoio con Keit Haring, Jean-Michel Basquiat, Marina Abramovic. Ho conosciuto Madonna quando ancora non era nessuno. Ho rischiato di scivolarci, sulla lama di quel rasoio, potevo farlo perché era facilissimo, ma poi non è successo, a differenza di tanti altri. Ho conosciuto poi una donna, italo-americana, che mi ha dato un figlio ed è diventata mia moglie. E’ stato in quel momento che sono completamente cambiato”, infatti Arnaldo per mantenere la sua famiglia inizia a lavorare nel mondo della ristorazione e abbandona il resto. Conosce tante, tantissime persone, inizia a vendere i suoi lavori a dei collezionisti e il cerchio di conoscenze continua ad allargarsi pur continuando a stare lontano dall’arte.

Ma se uno è un artista, è artista per sempre. “Un giorno conosco un uomo romano che mi dice di riprendere a dipingere. Quel ricomincio e non abbandono più.”

Moglie e figlio, a causa della sua decisione, si allontanano. Per due anni studia alla Art Student League con il maestro Robert Maione, un tradizionalista che un giorno gli dice “Tu vuoi diventare Michelangelo senza studiare l’arte classica”, ma del classicismo Arnaldo non sa cosa farne. Decide quindi di cambiare classe e fa la cosa giusta perché è così che conosce Enrico Donati, grandissimo amico di Marcel Duchamp (io che questi nomi li ho sempre letti nei libri, sentire delle storie che li coinvolgono dal vivo è un’emozione stranissima) che gli dice una cosa che di lì in avanti seguirà ad occhi chiusi “Lasciati andare, dipingi con il cuore e con la mente, non farti condizionare dal classico e fai sempre quello che senti. Esprimiti.”

Donati lo segue come maestro per alcuni mesi, fino a quando, per motivi familiari, Arnaldo non lascia la scuola. Lo incontra di nuovo cinque anni dopo, Arnaldo è immerso nel periodo dei fiori surrealisti, il maestro ne rimane impressionato, vince il primo premio della E.D. Foundation e siamo nel 1992. In tutti questi anni di lavoro Arnaldo sperimenta diverse correnti, dall’arte povera al surrealismo, dall’astrattismo alle arti plastiche. Quando ancora il plexiglass non era utilizzato e l’AIDS iniziava purtroppo a farsi conoscere Arnaldo viene definito The plastic artist in age of condom.

Le sue storie lasciano poco spazio alle mie domande scontate. Una sera sua figlio porta a casa un libro sul graffitismo, arte che Arnaldo ha sperimentato e conosce bene.

Piper Club
Stralcio di giornale con A.B. insieme a “quelli del Piper Club” – secondo a partire da destra.
Qualche giorno dopo lo storico concerto dei Beatles al Teatro delle Vittorie a Roma – Anno 1965

Sfogliandolo trova una sua foto di spalle mentre disegna una metropolitana, vicino a lui c’è Basquat, che nel frattempo è stato portato via dall’eroina. La domanda che volevo fargli fin dall’inizio esce in questo momento spontanea, “Arnaldo ma voi ve ne accorgevate che stavate vivendo nel mezzo di quella che oggi è vista come la svolta dell’arte e della cultura? Eravate consapevoli di esserne i protagonisti? Perché ti assicuro che dall’esterno sono tutte storie assurde lette solo nei libri di arte”, mi risponde di no, che la consapevolezza è arrivata dopo. Giustamente ti accorgi della storia un attimo dopo che questa è accaduta, penso.

Arnaldo ha avuto tantissimi riconoscimenti, Maria Pia Cappello ha descritto la sua come l’arte del sogno e dell’inconscio, lo ha descritto come uno dei migliori artisti che abbia collegato il concetto di arte moderna, arte contemporanea e arte concettuale. Sarà per le sue tantissime influenze artistiche? Lei stessa lo conferma. Arnaldo è anche nel libro “Tratti poetici”, sempre di Maria Pia Cappello, edito dalla SarpiArte Edizioni.

Nel 2013 ad Arezzo la sua ultima esposizione, “Ricerca massimalista”. I suoi lavori sono in collezioni private a Parigi, Roma, Saint-Tropez, New York.
Nel suo percorso artistico Arnaldo, oltre ad aver ricevuto qualche grande sgambetto, non è mai sceso a compromessi, e mi spiega che è stato proprio questo a non dargli l’affermazione che hanno avuto i suoi compagni di viaggio, ma forse è stato meglio così.

“Il mondo dell’arte è governato da pochi oggi come allora, e quei pochi possono chiederti tutto. I miei ‘no’ mi hanno bloccato la strada.”
Quello che percepisco, e quello che lui stesso mi conferma, è che la sua vita è stata fantastica e quando gli chiedo che consigli darebbe ad un giovane ragazzo mi risponde “Domanda difficile visto che io non li ho mai seguiti. BE YOUR DREAMS, questo direi.”

Oggi Arnaldo sta lavorando all’insieme di tutti i suoi lavori, sta creando delle opere con le sue stesse opere, un lavoro davvero molto bello e intenso.
Gli hanno chiesto di scegliere una decina di giovani artisti americani per creare una collettiva in un’importante città artistica e culturale italiana, ma ancora non si sbilancia.

Mi saluta dicendo “Se un giorno, quando non ci sarò più, qualcuno deciderà di raccogliere tutti i miei lavori cercando una linearità e parlando dei miei periodi artistici… bé diventerà assolutamente matto.”
Io, affamata di altre storie, lo saluto dicendogli che ci vediamo quest’estate a Santa Sofia.

Gloria Perosin

Altri post